La colpa, diciamo così, è della norma voluta da Renzi che vieta ai pensionati di avere incarichi retribuiti dalla pubblica amministrazione. Ma anche di una richiesta di chiarimenti della Corte dei conti, che nel luglio 2016 ha mandato la Finanza a bussare alla porta della Asl di Bari. Per chiedere come mai una trentina di specialisti ambulatoriali (sui circa 350 in servizio) risultassero ex dipendenti dell’azienda, sommando così il compenso previsto dal contratto alla pensione da dirigenti medici. E così, dopo un lunghissimo tira e molla, a fine gennaio la Asl ha avviato (per la seconda volta) il procedimento di revoca delle convenzioni.
Ne è nata una rivolta, soprattutto perché nell’elenco dei 26 nomi ci sono medici molto noti. Tra loro Pasquale De Leonardis, uno dei «saggi» di Emiliano (la commissione di consulenti gratuiti della Regione di cui fanno parte anche Albano Carrisi e Lino Banfi), ma anche Ettore Samele, il dietologo che già nel 2011 vincendo un bando del Comune di Bari (sindaco Emiliano) scatenò molte polemiche. È fuori, ma solo perché è arrivato al limite di età da pochi mesi, l’urologo Francesco Sollecito, più noto per essere il padre di Raffaele, l’ex studente coinvolto nel caso di Meredith Kercher.
Fino al 2014, quando è entrato in vigore il divieto previsto dal Decreto legge 90, per prassi le Asl consentivano ai dipendenti di migrare alla specialistica ambulatoriale, in alcuni casi senza nemmeno dover andare in pensione. Da quel momento in poi non è più avvenuto, e oggi il problema in Puglia esiste quasi solo a Bari (altrove i casi totali sono pochissimi). Nel 2014 la Asl ha chiesto un parere sull’applicabilità della norma sia alla Regione che alla Sisac (la commissione paritetica che scrive i contratti), ma senza ottenere una risposta non è stata definitiva.
Il problema però esiste. I medici di famiglia, ad esempio, non possono essere in pensione. La stessa cosa vale per chi lavora nelle guardie mediche, che ha potuto sommare alla pensione i 1.800 euro previsti per le 24 ore settimanali della continuità assistenziale. Ad alimentare l’incertezza c’è però una circolare della Funzione pubblica che esclude dall’applicazione del Dl 90 gli incarichi «di natura sanitaria». Nessuno finora ha capito cosa voglia dire.
La Asl di Bari aveva già avviato la decadenza degli incarichi di specialistica a metà 2016, salvo poi non concludere il procedimento. Ora è ripartita da capo perché una sentenza del giudice del lavoro di Bari ha dato torto a uno specialista a tempo determinato (in pensione) che chiedeva la conversione della conversione a tempo interminato: una fattispecie non proprio uguale, ma sovrapponibile. I 30 giorni per la chiusura del nuovo procedimento di decadenza scadono la prossima settimana, ed è quasi certo che la Asl procederà allo scioglimento dei contratti. Anche a costo di avere ricorsi: ma di fronte all’ipotesi di danno erariale paventata dall’intervento della Corte dei conti, la parola d’ordine è non rischiare.
«Alla richiesta di chiarimenti dei giudici contabili abbiamo risposto spiegando che non c’è danno erariale, perché comunque quelle ore di specialistica verrebbero pagate ad altri medici». Parliamo di 700 ore settimanali (che vengono pagate 30 euro l’una) e che la Asl rimetterà prontamente a bando. Ogni specialista può non può fare più di 38 ore a settimana, per circa 4mila euro lordi al mese che si sommano alla pensione. Ma si genererà un altro paradosso: siccome gli specialisti sono sempre gli stessi, quelli che verranno «cacciati» dalla Asl Bari continueranno a lavorare nella Bat o a Brindisi dove per il momento il problema non si è posto. Tutto per colpa di una norma non chiara.