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Anche i Draghi avranno le loro gatte da pelare

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Mario Draghi

Ok. Il sovranismo ha il fiato corto e nessuno ha più voglia di rianimarlo

Martedì 09 Febbraio 2021, 14:50

Mario Draghi non ha bisogno di consigli. Semmai può essere lui a dispensarli in giro per il mondo. Ma c’è una tentazione da cui gli converrà, come ha già fatto finora, tenersi alla larga come la gazzella dai leoni: la tentazione di parlare, di cercare la visibilità.

Draghi è il primo a saperlo. Non ha bisogno né di dichiarare qualsiasi cosa né di rincorrere la notiziabilità come un leader politico in crisi di astinenza. È già Draghi, non ha la necessità del doping comunicazionale. Avendo fatto il banchiere, sa che il silenzio non ha prezzo e che parlare, spesso, è più grave che scappare con la cassa. Meglio, molto meglio ingaggiare un portasilenzi che un portavoce, meglio presiedere una riunione di esperti sul Recovery Plan che prenotare un’ospitata in qualche salotto televisivo.

A Draghi conviene restare il Draghi che tutti ammirano per la sobrietà, il Draghi che centellina e pesa pure le sillabe di ogni suo discorso. Per una ragione assai semplice: il circo mediatico è peggio di un tritatacarne. Basta un nonnulla restarne incastrati, spesso distrutti.
A Draghi conviene evitare qualsiasi sovraesposizione anche per una ragione didattica: così potrà fare da esempio, da scuola per i suoi ministri che, si presume, faranno, invece, a gara per conquistarsi sempre più spazi di notorietà. 

La qual cosa non sarà indolore per il futuro presidente del Consiglio, non foss’altro perché, nelle riunioni a Palazzo Chigi, si ritroveranno, attorno allo stesso tavolo, signori che, finora, hanno evitato di salutarsi pure a un metro di distanza.
Immaginiamo che Draghi dovrà fare ricorso a tutta la sua speciale autorevolezza per quadrare il cerchio tra ministri storicamente agli antipodi su quasi tutti i temi e dossier in agenda. Anche se, non va dimenticato, le giravolte della settimana scorsa hanno sorpreso e spiazzato persino gli spiriti più scafati, quelli abituati a concepire e raccontare la politica come una sequenza infinita di sconcezze, risse, colpi bassi e testacoda inattesi. Non è da escludere che, come avviene in una classica quadriglia, ci si scambi di posto (e di idee) con la disinvoltura di un gruppo di improvvisati ballerini a una festa nuziale.

Del resto, con il consueto tocco di eleganza mista a nonchalance, l’avvocato Gianni Agnelli (1920-2003) era solito sottolineare che in Italia i governi di destra fanno politiche di sinistra e i governi di sinistra fanno politiche di destra. Segno che la spregiudicatezza programmatica, foglia di fico per parecchie oscenità carrieristiche, proviene da lontano, anzi fa parte del Dna della nazione, dal momento che il trasformismo esordì sulla scena del Paese, addirittura con Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861) al governo, già prima dell’Unità d’Italia. Solo che, all’inizio, il trasformismo venne celato sotto la formula capziosa del «connubio», mentre dal 1876 salì agli onori (si fa per dire) delle cronache politiche con la dizione, la definizione propria, tuttora in auge.

L’informazione potrebbe dare una mano al presidente Draghi, incalzando, sui temi concreti, i disinvolti e i giravoltisti con domande scomode e analisi impietose. Qualcuno lo fa già. In particolare sulla stampa scritta. Ma nell’informazione più vicina alla massa dei cittadini, ossia in quella prodotta dal video, non solo ciò non accade quasi mai, ma tende a radicarsi sempre di più una tendenza che rappresenta l’antitesi del giornalismo senza sconti, del giornalismo che inchioda i potenti alle loro responsabilità, del giornalismo che - sugli interventi e sulle decisioni - incalza sempre chiunque si trovi al potere.

Il Covid ha reso ancora più ambiguo (e censurabile) il rapporto tra informazione e potere. Spariti i contenuti e i problemi reali, molte trasmissioni tv hanno subito un’involuzione discutibile, per non dire inaccettabile: sempre più spesso molti giornalisti e analisti si segnalano più come amici, come organici di area politica, che come imparziali difensori civici dell’opinione pubblica. Una degenerazione acuita dal fattore Covid che ha, indirettamente, moltiplicato le ore tv dedicate alla pandemia e, come tali, da affollare con molti leader, giornalisti ed esperti di ogni ordine e grado. La tentazione di buttarla sempre in politica, in queste circostanze, è più irresistibile di una fetta con la Nutella. È così diventa inarrestabile anche la deriva di scritturare opinionisti di riferimento che a volte danno l’impressione di esprimersi come professionisti della politica, come esponenti politici veri e propri.

Sicuramente il presidente incaricato Draghi non può lamentarsi del trattamento ricevuto dalla tribuna stampa. Ma non è questo il punto. Il punto è che la stampa deve avere il fiato sul collo di chiunque si trovi al governo, solo così si possono stoppare i disegni feudali di chi sogna il ritorno a un passato che non c’è più.
Ok. Il sovranismo ha il fiato corto e nessuno ha più voglia di rianimarlo. Ma certe conversioni (sospette) dovranno essere verificate alla prova dei fatti. Non devono tradursi in conati d’astuzia per avvicinarsi al potere, che si profila mai così seducente come ora, in previsione di un’alluvione di quattrini mai così ingente come quella fissata dall’Europa contro la pandemia.
Altrimenti anche l’osannato e celebrato Draghi avrà le sue fastidiose gatte da pelare.

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