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Il commento
bianca tragni
30 Novembre 2020
Confesso: le oceaniche manifestazioni di cordoglio scoppiate in tutto il mondo per la morte di Maradona mi commuovono ma non mi convincono. Sono un delirio collettivo, una forma di isterismo di massa, un fanatismo cieco e irrazionale, un’esagerazione bella e buona; ripresa, amplificata e rilanciata da tutti i mass media del mondo. Altro delirio collettivo, altra orgia mediatica, altro strapotere narcisistico dei comunicatori della carta stampata e dell’etere.
Ma in fondo chi era questo Diego Armando Maradona? Un calciatore, un campione dello sport, che ha avuto da Dio il dono di calciare bene, scansare gli avversari, tirare in porta, vincere nei campi di calcio. E dal demonio la capacità di drogarsi, di ammanigliarsi con la camorra, di evadere le tasse, di mettere incinte donne varie. Ma ora, come sempre quando qualcuno muore, i difetti vengono sottaciuti, le virtù esaltate. E fra queste, il dono divino di saper calciare; dono prezioso, come quello di un grande artista o musicista. Dono da riconoscere e ammirare, certo. Ma da questo a farne un Dio lui stesso, ci corre. Eppure questo è stato fatto in questi giorni di esaltazione collettiva: la santificazione di Maradona. Vi è stata, e non sappiamo per quanto tempo ancora ci sarà, una vera fenomenologia religiosa intorno a questo personaggio. Lumini, altarini, fiori, immagini, statuine, gesti.
Anche al funerale di Lady Diana l’algida Inghilterra stese tappeti di fiori e messaggi davanti alla residenza reale a Londra. Ma nel totale silenzio, rotto solo dal pianto di molti. Poi basta, finito. Qui invece si vede nascere un culto, un vero culto religioso di milioni di persone, con tutte le espressioni che esso richiama. Elogio del Santo e delle sue virtù, potere taumaturgico del suo nome e dei suoi gesti, invocazioni urlate o cantate in coro, pellegrinaggi di massa sui luoghi da lui frequentati, reliquie conservate, toccate e baciate: lì dove il Santo ha posto le sue membra, che sia un pallone o una maglietta o una panchina o una ciocca di capelli, lì il devoto trova grazia e conforto. E la qualifica di Santo non basta ancora: lo hanno chiamato il Dio del calcio, l’idolo che è sceso dal cielo “a miracol mostrare” ed al cielo ora ritorna, fino a decretare “Dio è morto”! Maradona è Dio?....ma mi faccia il piacere! direbbe quel napoletano verace e geniale che fu Totò.
Ha vinto la coppa del mondo dell’’86? Ma quante altre coppe del mondo sono state vinte da tanti altri calciatori in questi 30 anni e più? Ha segnato tante reti: ma quanti altri campioni dopo di lui hanno segnato ancora più reti di lui? Allora perché lui è il re, il dio del calcio ed altri no?
Evidentemente non basta il calcio a spiegare questa follia collettiva. Se guardiamo meglio a chi la sta vivendo, vediamo che sono soprattutto due popoli, quello argentino e quello napoletano. Due popoli poveri e sventurati. Fa specie sentir dire da un napoletano che dai tempi di Garibaldi, Maradona è stato l’unico a dar loro l’orgoglio e la gioia di essere napoletani. Agghiacciante. In più di 100 anni Napoli non ha mai avuto un personaggio, un fatto che l’abbia resa orgogliosa e felice come è riuscito a fare Maradona? Popolo ben infelice, allora. Così gli argentini, afflitti per secoli da regimi dittatoriali e da crisi economiche spaventose. Entrambi hanno avuto bisogno di un campione del pallone per sentirsi riscattati da violenze, povertà, persecuzioni, sconfitte.
Uno dei meriti più decantati di Maradona a Napoli è stato di aver sconfitto la grande Juventus e tutte le altre squadre del Nord: ecco, nei campi di calcio finalmente il Sud da sconfitto, diventava vincitore. Ecco come si spiega la gigantografia di Maradona sul portone del Palazzo Reale a Napoli, vuoto da più di 150 anni dei mai dimenticati re Borbone, altro fenomeno di fanatismo politico-religioso, come testimoniano Lazzari e Sanfedisti. Cioè la feccia della società, i miserabili senza un riscatto alla Victor Hugo. Il re borbone è tornato a casa, e si chiama Diego Antonio, come tanti ragazzi napoletani battezzati col nome di Maradona; proprio come si fa con i nomi dei santi.
Ben venga il nome di Maradona allo Stadio di Napoli. Ma non sulla Reggia, o nelle chiese, o nei presepi. Certamente ce lo metteranno quest’anno, i pupari di San Gregorio Armeno. Non per niente i napoletani sono quelli che hanno messo anche il demonio, un rosso Belzebù, tra i personaggi del presepe napoletano.
Ma oramai Maradona defunto e assunto in cielo è un angelo che deve volare sulla città come il nuovo, vero protettore dei napoletani. Si sa, i santi nuovi scacciano quelli vecchi: a Bari San Nicola spodestò San Sabino, a Napoli San Maradona potrà spodestare San Gennaro? Già abbiamo visto, sull’altarino di un bottegaio, la sua immagine grande al centro e ai lati quelle piccole di San Gennaro il Vescovo e di San Giuseppe Moscati il medico. Così il popolano ha già creato una gerarchia tra i suoi santi, senza aspettare che papa Franceschigno (come Diego Antonio si permetteva di chiamare papa Bergoglio) lo beatifichi realmente. Cosa che certamente non accadrà; ma i napoletani diranno, come scrissero sulla facciata del loro Duomo, quando la Chiesa declassò il loro protettore fra i santi secondari: “San Gennà, futtatinne!”.
La religiosità popolare non ha bisogno di decreti e proclami ufficiali per praticare il culto di un personaggio che ama e che trova risonanza affettiva nel cuore di molti. Tanti riti e tradizioni religiose sono frutto spontaneo dell’anima popolare; spesso contrastati dalla Chiesa ufficiale perché intrisi di superstizione, di ignoranza, di violenza (basti pensare ai Battenti, quei penitenti che si lacerano petto e spalla fino a farli sanguinare; o al tarantismo salentino, per fare solo due esempi). Maradona è tutto questo: orgoglio e riscatto, gioia e divertimento, virtù e peccato, genio e sregolatezza, povero e ricchissimo, amico dei potenti e degli umili, un impasto delizioso per popoli meridionali come l’argentino e il napoletano.
Al vero credente tutto questo sa di blasfemia e di idolatria pagana. Non resta che recitare come una giaculatoria l’antico adagio: scherza coi fanti e lascia stare i Santi.
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