«Ringrazio Dio per non aver preso il Covid e per non avere più figli da mandare a scuola». Così esternava ieri a Bari un anziano all’uscita dalla messa domenicale. Ora, se la prima affermazione è comprensibile, la seconda risulta oscura. A meno che non si risieda in Puglia dove è più facile risolvere il cubo di Rubik usando solo il piede sinistro che capire come e se andare a scuola.
In principio fu l’Azzolina. Perché le scuole a settembre riaprissero con gli alunni in presenza lanciò la più grande campagna mai promossa dal ministero dell’Istruzione: piano da 3 miliardi per sostituire 2.000.000 (duemilioni!) di banchi, adattare le aule al distanziamento, realizzare percorsi diversi per ingressi e uscite. Coinvolti migliaia di presidi e di docenti: tutta l’estate a scervellarsi per riprendere la scuola etsi virus non daretur, come se il Covid non esistesse.
Poi vennero le elezioni. Lo slittamento primaverile del referendum costituzionale e del voto in sette regioni picconò il progetto della ministra.
Fu deciso infatti che l’Italia sarebbe andata alle urne il 20 e 21 settembre, cioè una settimana dopo l’agognata apertura dell’anno scolastico. Meglio rinviare? Alcune regioni, fra cui la Puglia, posticiparono la riapertura al 24 settembre. Cosa che accadde, ma non ovunque: il Covid ricominciava a farsi sentire ed era necessario chiudere qua e là per sanificare. Eppoi i famosi banchi non erano pronti, né le contorsioni geometriche ed edilizie dei presidi avevano fatto il miracolo, per cui in molti istituti superiori fu necessario ricorrere ai doppi turni, alle classi alternate fra chi era in presenza e chi seguiva da casa. Già a questo punto un genitore appena appena attento all’istruzione dei figli avrebbe dovuto dare i famosi «tuzzi» nel muro.
Ma siamo solo agli inizi. Il Covid ha continuato per la sua strada favorito dagli atteggiamenti irresponsabili di tanti studenti che in classe stanno con la mascherina, si igienizzano le mani 18 volte l’ora, ma all’uscita si abbracciano con gli amici, stanno vicini vicini, si sbaciucchiano con il partner di turno. Gli effetti sono immediati: impennata di contagi, ricoveri e morti. La Puglia balza subito nella top ten delle regioni più pericolose. Il presidente Emiliano, fresco di rielezione, prende una decisione drastica e chiude tutte le scuole, lezioni e interrogazioni solo via web. Apriti cielo.
Insorgono i prof perché così non è più scuola; insorgono i giuristi perché l’istruzione è un diritto in Costituzione ed è obbligatoria per i primi due cicli; insorgono soprattutto i genitori che in molte località vanno a depositare figli, libri e zaini davanti agli istituti sbarrati. Scattano i ricorsi al Tar. Poiché non c’è solo un giudice a Berlino, c’è anche un giudice a Bari e però anche uno a Lecce. E infatti, nello stesso giorno, il primo (quello di Bari) accoglie i ricorsi e annulla l’ordinanza di Emiliano. Il secondo (quello di Lecce) respinge i ricorsi e mantiene il dictum emilianesco. Nel frattempo, l’Italia che non piange per i morti se la ride per il guazzabuglio pugliese.
Ed eccoci a questi giorni. Il presidente della Regione emana una nuova ordinanza in cui in sostanza dice che ciascuno studente è libero di fare come crede: se vuole andare a scuola va, altrimenti segue da casa. In questo caso la scuola deve attrezzarsi per fornire il collegamento telematico necessario. Ora vi immaginate la lezione di matematica con la prof che segue 15 ragazzi in aula e 15 in video collegamento? I quali, tanto per fare un esempio, se vi sono domande dei compagni in presenza non le ascoltano, perché la telecamerina del computer è fissa sul volto dell’insegnante. Ci vorrebbe una piccola regia che come nei talk show televisivi, con tre-quattro telecamere e microfoni, riesce a riprendere chiunque intervenga. Ma è immaginabile che questa utopia possa realizzarsi e nel giro di poche ore?
E infatti la ministra Azzolina si prende la rivincita su Emiliano e annuncia che sulla sua ordinanza ci sarà una «revisione» da parte del Ministero ricordandogli anche che alla Puglia sono stati assegnati 510 milioni tra fondi per l’emergenza e fondi per l’edilizia scolastica. Assistono impotenti alcune migliaia di presidi e docenti, sballottolati come birilli, senza che nessuno pensi mai a chiedere loro un consenso – no, sarebbe troppo – almeno un parere, un’opinione. Devono correre da un’aula all’altra, da un computer all’altro. Oggi in presenza, domani via Web, dopodomani metà e metà e dall’altro domani chissà. Domanda: ma in questo modo confuso, nevrotico e disorganizzato è ancora scuola? Quell’anziano all’uscita dalla chiesa ha detto una grande verità.