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L’Europa mette a dura prova la saldezza di Lega e 5stelle

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Alessandro Di Battista contrario al Mes

Si riunisce il Consiglio Europeo che dovrà ri-esaminare la strategia di contrasto della crisi economica provocata dalla pandemia

Giovedì 23 Aprile 2020, 15:09

Che le classi dirigenti del Belpaese, dopo la fine dell’Impero Romano, si siano dilaniate a oltranza sulle alleanze internazionali, è un fatto notorio. Se non fosse andata così, l’Italia non avrebbe atteso il 1861 per riprendere, dopo molti secoli, il cammino unitario. Eppure, l’esperienza non insegna nulla nella Penisola, soprattutto in politica estera, materia in cui in ogni partito si registrano quattro o cinque posizioni differenti, figuriamoci in tutta la platea parlamentare. Oltre frontiera, invece, la politica estera è la serra calda della politica bipartisan, dell’interesse generale anteposto al calcolo elettorale di singoli partiti e leader. Il che, colà, si traduce, quasi sempre, in un succoso dividendo per stati e governi, in un automatico aumento del loro prestigio.

Oggi si riunisce il Consiglio Europeo che dovrà ri-esaminare la strategia di contrasto della crisi economica provocata dalla pandemia. È in ballo la sorte dell’Europa, in particolare dell’euro. Non invidiamo il presidente Giuseppe Conte che dovrà destreggiarsi tra Mes (realtà) ed Eurobond (sogno), perché all’interno della sua coalizione, ma anche dell’opposizione, è la solita babele. I suoi colleghi europei raramente sono alle prese con la conflittualità permanente che, in Italia, non risparmia nemmeno la politica estera, anzi questa litigiosità, da noi, si acuisce proprio sulle questioni internazionali, come dimostra lo scollamento dei gruppi italiani nell’ultima votazione all’europarlamento.

Stavolta, però, la posta in palio - ripetiamo: il futuro dell’Italia in Europa - è troppo alta perché le nostre tradizionali divergenze in campo estero possano essere archiviate con la solita pittoresca narrazione di un Paese modello Arlecchino. Stavolta potrebbe accadere l’imprevedibile. Ossia, stavolta potrebbe essere l’Europa a spaccare qualche partito italico, con l’irruenza di un carro armato.

Prendiamo la Lega. Anche i sassi sanno che non tutti i leghisti condividono la linea di Matteo Salvini sull’argomento Europa. Ovviamente, nessuno mette in dubbio la leadership del Capitano. Giancarlo Giorgetti, però, è in quarantena politica (non sanitaria) da parecchie settimane. E il silenzio del numero due del Carroccio è più assordante di un botto di Capodanno. S’intuisce lontano un miglio che sul no leghista al Mes (meccanismo europeo di stabilità) lui non la pensi affatto come il suo diretto superiore. Così come si capisce, senza particolari sforzi supplementari, che anche il presidente veneto, Luca Zaia, abbia più di una riserva sulla linea del capo.
Giorgetti e Zaia non sono due passeggeri saliti per caso sulla carovana leghista. Entrambi sono veterani del partito e, soprattutto, espressioni e megafoni di quel profondo Nord che in passato avrebbe voluto entrare in Europa anche se l’intera Italia - bilanci pubblici sul tavolo - non fosse risultata pronta. Giorgetti e Zaia rappresentano, pure, quel ceto imprenditoriale che ha rapporti continui con il Nord Europa e la Germania in primis. Come reagirebbero questi settori produttivi del Settentrione se Salvini dovesse sposare le tesi - dichiaratamente ostili all’Europa e all’euro - di Alberto Bagnai e Claudio Borghi, e di fatto sconfessare Giorgetti e Zaia? Per il Nord che produce ed esporta, per il Nord che possiede stabilimenti nelle regioni tedesche, il divorzio dall’Ue sarebbe più tragico e irreparabile di un terribile colpo di rivoltella alla nuca. Riuscirebbe, in tal caso, la Lega di Salvini a placare la profonda irritazione delle sue popolazioni settentrionali di riferimento, irritazione che potrebbe tradursi in scissione-secessione non solo tra gli elettori, ma pure tra gli eletti?
Anche i Cinque Stelle, sulla politica estera, si esprimono con lingue diverse. Alessandro Di Battista è il punto di riferimento dei duri e puri del Movimento. Lui non va molto d’accordo con l’anima governista dei grillini, e si vede. Ma, soprattutto, Di Battista non è un irriducibile detrattore dell’Unione Europea e in particolare del Mes. Ma il Mes non è un orpello, un oggettino insignificante. Se salta il Mes, salta, a cascata, l’intera costruzione monetaria, cioè l’euro. E se salta l’euro ci tocca ritornare alla lira. Con tutte le conseguenze che questa rimpatriata monetaria comporterebbe.

Ma Di Battista indica la soluzione: il debito pubblico italiano potrebbe essere comprato dalla Cina. A quale prezzo per gli italiani? Questo non si sa. Ma si può immaginare: salato, salatissimo.
Ora. Quale sarà la posizione finale dei 5Stelle su Europa, Mes, Fondo per la ripresa eccetera? Se fosse univoca, Conte farebbe festa, di sicuro si sentirebbe più rinfrancato. Ma non è facile conciliare idee alquanto distanti su capitoli essenziali per il futuro del Paese. Conte e Luigi Di Maio appaiono più possibilisti sul Mes. Ma se passasse il Mes, sia pure senza vincoli, i pentastellati potrebbero spaccarsi. Dunque. Ipotesi scissione anche tra i grillini? I rumors di Montecitorio non la escludono.

Sta di fatto che sull’Europa si gioca l’avvenire di tutte le formazioni politiche nazionali. Altrove è sempre la politica estera a condizionare la politica interna. In Italia finora si era verificato il contrario. Stavolta potrebbe accadere il contrario del contrario, cioè la normalità.

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