È un nemico silenzioso, invisibile agli occhi, ma ormai onnipresente. Le microplastiche, frammenti inferiori ai 5 millimetri, e le ancor più insidiose nanoplastiche, con dimensioni inferiori ai 100 nanometri, hanno ormai invaso ogni angolo del pianeta, dal fondo degli oceani alle cime dell’Himalaya, dall’aria che respiriamo all’acqua che beviamo. Ma la loro ubiquità non è solo una questione ambientale: secondo la crescente mole di ricerche scientifiche internazionali, queste particelle stanno entrando nei nostri corpi con implicazioni sempre più gravi per la salute pubblica.
Uno studio pubblicato su The Lancet Planetary Health ha rivelato che l’uomo medio ingerisce tra le 39mila e le 52mila particelle di microplastica ogni anno, una stima che sale a oltre 74mila se si considera anche l’inalazione. Secondo l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare), le microplastiche sono presenti nel 100% dei campioni di cozze e ostriche analizzati nelle acque europee, e si trovano anche in sale, miele, birra, acqua potabile, latte e persino nella placenta umana, come documentato da una ricerca dell’Università di Roma Tor Vergata pubblicata su Environment International. Il quadro italiano non è rassicurante. Il 98% delle acque dolci del nostro Paese contiene microplastiche, secondo i dati ISPRA 2023, e l’Italia è tra i primi consumatori europei di plastica monouso. Il Mediterraneo, definito dal WWF nel 2019 «una trappola di plastica», riceve ogni anno circa 229mila tonnellate di rifiuti plastici, un terzo dei quali proviene proprio dalle nostre coste. Ma ciò che colpisce di più è quanto si annida sui fondali: uno studio condotto dall’Università di Manchester e pubblicato su Science ha rilevato che in alcune aree del fondale marino mediterraneo si accumulano oltre 1,9 milioni di particelle di microplastica per metro quadrato, rendendolo uno dei più inquinati al mondo in profondità. La ricerca ha evidenziato come le correnti sottomarine agiscano da veri «trasportatori» di plastica verso canyon e depressioni marine, che diventano trappole invisibili ma pericolosissime per la fauna marina. Ma è sul fronte sanitario che la preoccupazione cresce in modo esponenziale. Le micro e nanoplastiche, una volta ingerite o inalate, possono attraversare le barriere biologiche, accumularsi nei tessuti e provocare risposte infiammatorie, stress ossidativo, danni cellulari e interferenze endocrine. La loro interazione con metalli pesanti, batteri patogeni e inquinanti organici persistenti, come PCB, diossine, pesticidi, le rende vettori ancora più pericolosi, come evidenziato da una review pubblicata su Nature Reviews Endocrinology.
Le plastiche agiscono infatti come spugne chimiche, attirando e trasportando sostanze tossiche che, una volta introdotte nel corpo umano, possono contribuire a patologie respiratorie, metaboliche, riproduttive e persino neurodegenerative.
Uno studio dell’Università di Hull (UK), pubblicato su Science of the Total Environment, ha rinvenuto microplastiche nei polmoni di pazienti vivi, mentre una ricerca del Medical University of Vienna del 2023 ha dimostrato la presenza di nanoplastiche nel sangue e nei tessuti cerebrali. In Europa, l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) ha stimato che ogni anno vengano rilasciate nell’ambiente tra le 75mila e le 300mila tonnellate di microplastiche, un dato che ha spinto la Commissione Europea ad approvare nel 2023 un regolamento per limitarne l’uso intenzionale in cosmetici, fertilizzanti, detergenti e altri prodotti industriali. A livello globale, l’ONU ha definito l’inquinamento da plastica «una minaccia planetaria», avviando i negoziati per un Trattato Internazionale Vincolante sulla plastica, con scadenza prevista entro il 2025. Anche l’impatto sugli ecosistemi è devastante. Le microplastiche alterano la catena alimentare marina, ostacolano la fotosintesi del fitoplancton, danneggiano la fertilità degli organismi acquatici e modificano la struttura del suolo, compromettendo la salute delle coltivazioni. Uno studio pubblicato su PNAS ha dimostrato che le nanoplastiche possono attraversare le radici delle piante e accumularsi nei tessuti vegetali, con effetti ancora in fase di valutazione ma potenzialmente disastrosi per la sicurezza alimentare. Di fronte a questi dati, appare evidente che ridurre l’uso della plastica non è più solo un gesto ecologista, ma una necessità medica, ambientale e sociale. I costi sanitari legati all’inquinamento da plastica, stimati in miliardi di euro l’anno dall’OCSE, rischiano di crescere in modo incontrollato se non si interviene con urgenza. E in vista dell’estate alle porte, ogni cittadino può contribuire con azioni concrete e quotidiane: evitare l’uso di prodotti usa e getta durante le vacanze al mare, rinunciare a piatti, bottiglie e posate di plastica lungo le coste, scegliere abbigliamento in fibre naturali come cotone, lino e canapa, riducendo così il rilascio di microfibre sintetiche nei lavaggi domestici che finiscono nelle acque reflue e da lì nei mari.
La lotta contro le micro e nanoplastiche non si combatte solo nei laboratori scientifici, ma nelle nostre scelte quotidiane. Non si tratta di tornare indietro, ma di andare avanti, con intelligenza, consapevolezza e responsabilità. Perché in gioco non c’è solo la salute.