Sulle note di “Vai Italia”, interpretata da Albano con i bambini del Coro dell’Antoniano, il riconoscimento Unesco della Cucina Italiana è stata celebrata a Roma, nell’Auditorium Parco della Musica, alla presenza di autorità, artisti e chef. «Non un punto d’arrivo, ma di partenza», l’auspicio comune, da tenere bene a mente una volta smaltito l’entusiasmo del traguardo. Finita la festa, si aprirà la riflessione: cosa potrà fare l’Italia per vivere in modo costruttivo il processo? Quali sono i passi che deve compiere per rendere il riconoscimento una reale opportunità per il futuro? Quantificare il ritorno effettivo di un riconoscimento di tale prestigio non è semplice, soprattutto quando ad essere stato iscritto nella lista Unesco non è una ricetta, un piatto o una tradizione: è il ruolo culturale e sociale che il cibo ha nella vita degli italiani, la relazione profonda tra cibo, territorio e stagioni, la cucina come atto comunitario e sostenibile, il patrimonio tutto, fatto di gesti e racconti, trasmesso di generazione in generazione.
Innegabile, però, che l’impatto economico potrebbe essere davvero importante. Quando nel 2017 l’Arte dei Pizzaioli napoletani fu dichiarata Patrimonio Immateriale dell’Umanità, l’offerta di corsi professionali per diventare pizzaioli crebbe a dismisura, sia in Italia che all’estero. L’arte dei maestri napoletani, però, è identificata e commercializzabile. A ricordarlo è stato più volte Pier Luigi Petrillo, professore e presidente dell’Organo degli Esperti mondiali della Convenzione Unesco per il Patrimonio Culturale Immateriale, secondo cui è impegnativo immaginare quali vantaggi possano scaturire dal riconoscimento della cucina italiana nella sua totalità. E allora, forse, sarà necessario essere concreti rispetto all’obiettivo. Come la famiglia Pinto, presente simbolicamente a Roma in nome della Puglia, all’evento istituzionale finale.
«Nell’ultima decade di febbraio si darà vita al primo evento pugliese dedicato alla cucina italiana Unesco», ha assicurato Domenico Pinto, presidente di Tenuta Pinto di Mola di Bari. «La Puglia, che è la regione italiana con la maggiore Superficie Agricola Utilizzabile (SAU) senz’altro si identifica con i valori della cucina italiana patrimonio immateriale Unesco, non solo per la produzione agroalimentare ma soprattutto per il culto della tradizione da tramandare, che si affianca alla continua innovazione. La nostra azienda, infatti, è diventata impresa benefit e, senz’altro, l’invito da parte del Ministero dell’Agricoltura ci ha incoraggiato a proseguire in questa direzione».
Tenuta Pinto ha pure inserito nel suo menu un piatto dedicato alla Cucina Italiana Unesco, come rivelato da Giuseppe Pedone, Ambasciatore delle Eccellenze Italiane nel mondo ed executive chef: un grande classico italiano reinterpretato come la pasta al pomodoro. Oppure, come la città di Taranto, a Roma con duemila Clementine del Golfo di Taranto IGP, donate come gustoso cadeau a tutti i partecipanti della indimenticabile serata di musica, spettacolo e orgoglio nazionale, svoltasi il 10 dicembre. L’iniziativa si deve al Consorzio di Tutela IGP Clementine del Golfo di Taranto, che ha portato a Roma i frutti allestiti in una speciale confezione celebrativa con la scritta «I Am la Cucina Italiana Patrimonio dell’Umanità» e il logo del Ministero della Cultura e del MASAF, il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste. La delegazione del Consorzio di Tutela IGP Clementine del Golfo di Taranto è stata guidata dalla Presidente Daniela Barreca: «Ringrazio per questa straordinaria occasione di promozione delle nostre clementine IGP – ha detto la presidente Barreca – il Ministro del MASAF Francesco Lollobrigida e Origin Italia, l’Associazione Italiana che riunisce i Consorzi di Tutela dei prodotti agroalimentari DOP IGP. È stato un importante riconoscimento per l’attività di tutela e promozione del Consorzio di Tutela di cui ho l’onore di essere presidente, nonché per il lavoro delle aziende consorziate».
[b.pol.]
















