Due voci diverse ma complementari si incontrano il 16 maggio 2025: Gatsby e Cartesio, artisti pugliesi, pubblicano nello stesso giorno i loro nuovi singoli, rispettivamente “Ieri” e “Che Fa”. Due brani che parlano di passato e presente, di ciò che resta e di ciò che si supera, usando linguaggi diversi ma simili nella sensibilità. A supportare entrambi i progetti è The Music X, realtà pugliese fondata da Felice Lenoci, impegnata nella promozione di nuovi talenti e nella crescita di progetti musicali indipendenti.
Gatsby – “Ieri”: una canzone costruita su un flusso di coscienza malinconico, che mescola rap, sonorità elettroniche e cantautorato. La voce racconta un passato che fa ancora rumore, ma che ora può essere guardato con consapevolezza.
Un messaggio chiaro: non si può sempre scappare da ciò che si è stati. La canzone fa parte di un EP più ampio e si apre con un’introduzione parlata che racconta il percorso di crescita dell’artista, tra fragilità e accettazione.
Cosa ti ha spinto a scrivere questo brano ora, in questo preciso momento della tua vita?
«Tutto nasce da un’esigenza profonda: dare un ritmo, un significato, al tempo. In modo del tutto naturale, con Domani ho dato inizio a una trilogia che quest’anno prosegue con Ieri e che si concluderà l’anno prossimo con Oggi. Il tempo mi spaventa perché è una costante che non possiamo controllare: scorre inesorabile, portandosi dietro la paura del futuro (da qui nasce Domani), la FOMO, l’ansia di non poter tornare indietro, il timore di aver perso occasioni che non torneranno più. Il mio passato è segnato da grandi perdite. Nel 2013 ho perso mia sorella — il “ciao Anto” che si sente nel brano è per lei — e col tempo ho salutato anche tutti i miei nonni. Esperienze che, insieme ad altre difficoltà, hanno alimentato in me ansia, depressione e una serie di fragilità che ho dovuto imparare a riconoscere e affrontare. È stato un percorso lungo e complesso, reso possibile anche grazie all’aiuto di una terapeuta. Negli ultimi anni, però, ho cominciato a fare pace con il me stesso di un tempo, intraprendendo un vero lavoro interiore. Così nasce Ieri: un resoconto sincero, un bilancio emotivo di tutto ciò che ho vissuto. È il frutto di una continua ricerca di equilibrio, di un cammino lento e ostinato verso la pace. Lo devo a me stesso, ma anche a tutte le persone che ho perso. A loro ho fatto una promessa — che in realtà è anche una promessa a me stesso: non mi fermerò mai, qualsiasi cosa accada».
Nel brano dici “vivo in replay, sogno in delay”: quanto è difficile per te convivere con la nostalgia e usarla come forza creativa?
«Il dolore è sempre stato il mio principale motore. Fin dall’inizio, la musica è stata per me una forma di terapia: un modo per affrontare e superare momenti difficili. Scrivere una canzone in cui metto a nudo le mie paure e fragilità mi permette, quasi senza rendermene conto, di alleggerire quel peso emotivo e fare un passo avanti. Il concetto di vivere in replay nasce da qui: anche se molte delle ferite del passato si sono rimarginate, continuo a riviverle per analizzarle meglio, per comprenderle a fondo, come se solo oggi fossi davvero pronto a farlo. Sognare in delay, invece, racchiude più significati. Parla della consapevolezza che arriva tardi, della capacità di riconoscere solo con il tempo il valore di certi momenti e di certe persone. Ma soprattutto, rappresenta il mio rapporto con la musica: è sempre stato il mio sogno, ma ho iniziato a inseguirlo davvero solo a trent’anni».
La tua musica unisce cantautorato, urban poetry ed elettronica: come trovi l’equilibrio tra vulnerabilità personale e stile estetico nei tuoi brani?
«Se la mia musica e il mood dei miei brani seguissero fedelmente i processi terapeutici che ho descritto, probabilmente sarebbero tutte canzoni molto introspettive, tristi e malinconiche. La ricerca del sound — e qui ringrazio ancora Simone Maremonti, aka Fvck Hwsn, il mio producer di fiducia, e il Lucky Recording Studio di Marcello Magro — viene invece condotta in modo da mascherare queste narrazioni con sonorità più leggere, frizzanti e dinamiche. L’obiettivo è quello di raggiungere quante più persone possibile, nella speranza che il viaggio doloroso che ho affrontato possa essere d’aiuto a chiunque abbia vissuto un’esperienza o un’emozione simile. Ogni brano è il frutto del mio vissuto, delle esperienze che ho fatto, dei messaggi che voglio trasmettere e delle influenze musicali che ho assorbito. Sono cresciuto con il rap, ma ho sempre ascoltato anche punk rock, dance ed elettronica».
Cartesio – “Che Fa”: la canzone unisce pop, cantautorato e sfumature indie, e si rivolge a chi si sente fuori posto o in ritardo, ma vuole ancora sognare, trasformando la delusione in un invito a ricominciare. Il brano diventa un messaggio positivo per chi vive il presente con fatica ma non rinuncia alla speranza.
Da quale momento personale nasce questo messaggio di resilienza?
«In realtà Che Fa è un brano che parla sì di me, ma anche di tante persone che ho incontrato in questi mesi. Mi sono fermato per un po’ perché avevo bisogno di nuovi stimoli, e io li cerco — e spesso li trovo — nelle persone. Il confronto con amici che
uscivano da relazioni finite, o che si portavano dietro un senso di solitudine diffusa o di costante inadeguatezza rispetto a un mondo che corre, mi ha fatto riflettere. Tutto sommato, chi più chi meno, viviamo le stesse situazioni e proviamo gli stessi stati d’animo. A un certo punto mi sono chiesto se avesse davvero senso trasformare la vita in un "raccoglitore di ansie". La risposta è stata no, ovviamente. E da lì è nata Che Fa: un invito a farsi scivolare tutto un po’ più addosso, a fregarsene di più».
Nel brano alterni malinconia e leggerezza con grande naturalezza: come riesci a bilanciare questi due stati d’animo nella tua scrittura?
«Innanzitutto grazie per aver colto entrambe le sfumature, che in effetti sono presenti non solo in questo brano, ma in tutta la mia scrittura. Penso che sia un po’ il tratto distintivo di Cartesio come cantautore: raccontare temi comuni — ma non per questo banali — con leggerezza. Sono una persona molto riflessiva e, per natura, tendenzialmente pessimista. Allo stesso tempo, però, vivo con il desiderio costante di ritrovare quella positività che avevo da ragazzo e che, col tempo, ho in parte perso. Un po’ per via della crescita, un po’ per esperienze personali. Questo equilibrio tra malinconia e speranza, quindi, è
semplicemente la trasposizione musicale di ciò che sono: una persona che ha vissuto tanto, ma che sogna ancora un ritorno emotivo a un passato più leggero. E forse, mai come in questo brano, questa doppia anima di Cartesio emerge con così tanta chiarezza».
Hai uno stile che fonde cantautorato moderno, pop e indie: come nasce il tuo processo creativo quando costruisci una nuova canzone?
«Il mio processo creativo nasce sempre da un’urgenza emotiva. Prima ancora che dalla musica, parto da un bisogno autentico di esprimere qualcosa: un pensiero, una sensazione, un frammento di vita. Scrivere, per me, è come mettere ordine dentro al caos. Di solito accade quando qualcosa — un’esperienza personale, un racconto, un’emozione — mi colpisce e sento che merita di essere trasformato in parole. Appena ho chiaro il messaggio che voglio trasmettere, inizio a scrivere. Non seguo uno schema preciso, è quasi un flusso di coscienza. Scrivo d’istinto. E già mentre scrivo, immagino se quelle parole possono vivere dentro una melodia. Strimpello un po’ la tastiera e, da poco, anche la chitarra: strumenti che mi aiutano a costruire l’atmosfera giusta intorno al testo. Se sento che quello che sto creando ha coerenza, continuità e verità, allora vado avanti. La fase a cui dedico più attenzione, però, è quella del ritornello. È la parte che deve restare impressa, quella che la gente canta sotto la doccia o in macchina. Per questo cerco sempre di renderla semplice, diretta, ma mai scontata. Credo molto nella potenza della semplicità: se vuoi che un messaggio arrivi davvero, deve potersi infilare nella vita di chi ascolta senza troppi filtri».
Come già sottolineato, entrambi i progetti sono sostenuti da The Music X, realtà pugliese fondata da Felice Lenoci:
In che modo lavora per valorizzare la vulnerabilità e l’autenticità come elementi centrali nei progetti che produce e promuove?
«Essendo allo stesso tempo artisti e consulenti, abbiamo la capacità reale di comprendere a fondo le esigenze di chi fa musica. Analizziamo ogni progetto con attenzione e sviluppiamo strategie su misura, adattandole alle specificità di ogni percorso artistico. Il nostro vero punto di forza, però, è un altro: sperimentiamo in prima persona. Mettiamo alla prova idee, strategie di marketing e approcci comunicativi direttamente su di noi. In progetti come l’Half Time Show o il format radiofonico Ora X, siamo spesso i primi a “scendere in campo” — non per protagonismo, ma per testare sul campo le dinamiche, individuare criticità e punti di forza. Solo così possiamo proporre agli artisti un contesto già solido, funzionale e affidabile. Il nostro motto è persone oltre la musica, perché chi si rivolge a noi non è solo un cliente, ma prima di tutto una persona. Cerchiamo di costruire relazioni autentiche, nei limiti della professionalità, basate sulla fiducia e sull’ascolto reciproco. Solo così possiamo lavorare insieme in un clima di serenità e reale collaborazione».