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I dialetti della musica di Raffaele Casarano

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

I dialetti della musica di Raffaele Casarano

Sin dai suoi primi passi sulle scene, il sassofonista di Sogliano Cavour ha infatti sempre cercato di ampliare l’orizzonte dei propri interessi ben oltre i confini del jazz più canonico e lo ha dimostrato non solo con i progetti discografici

Martedì 06 Dicembre 2022, 08:06

15:51

L’attenzione a tutti i linguaggi e «dialetti» della musica è da sempre una delle coordinate principali che animano il jazzista salentino Raffaele Casarano. Sin dai suoi primi passi sulle scene, il sassofonista di Sogliano Cavour ha infatti sempre cercato di ampliare l’orizzonte dei propri interessi ben oltre i confini del jazz più canonico e lo ha dimostrato non solo con i progetti discografici, ma anche con l’impostazione ecumenica data al suo festival Locomotive, che dal piccolo centro nel cuore della penisola salentina si è aperto a ogni genere di contaminazione – a partire da quelle con la musica popolare – riscuotendo il consenso di un pubblico giovane non sempre attratto dal jazz stricto sensu.

Un’operazione, la sua, per nulla facile, ma sostenuta dal padrinaggio umano e artistico del trombettista Paolo Fresu – figura di primo piano del jazz italiano e non solo – che lo ha preso a benvolere includendolo in molti propri progetti e, soprattutto, cooptandolo nella scuderia di giovani talenti della sua Tuk Music. Proprio per questa etichetta, è uscito in questi giorni «Anì», quinto lavoro discografico di Casarano sotto l’egida di Fresu e album che ha l’ambizione di marcare un momento di svolta nella produzione del Nostro.

Casarano vi si ascolta non solo con i suoi sassofoni (alto e soprano), ma si cimenta anche con basso, synth pad, batteria elettronica e programming, senza per questo escludere il contributo di altri partner che vanno dalla sezione ritmica di piano, percussioni e batteria con Mirko Signorile, Alessandro Monteduro e Marco D’Orlando al sound design di Bonnot (che co-produce l’album) e agli interventi di due ospiti molto singolari come il rapper M1 del duo Dead Prez e il tunisino Dhaffer Youssef, cantante e virtuoso dell’oud, progenitore arabo del liuto.

Il risultato – in un album dedicato alla nascita di Anita Maria, figlia di Casarano – è una serie di tracce musicali che sono intrise di sonorità mediterranee, come a voler volgere lo sguardo dalla penisola salentina ai Balcani e poi anche al Maghreb, senza per questo recidere il legame col filone d’Oltreoceano e con un senso della funkyness che si coglie ad esempio in «Piedi nudi» o in «Fight Back», nel quale l’intervento di M1 riallaccia i rapporti anche con la black music. In questa koiné linguistica che Casarano ha saputo costruire con intelligente senso dell’equilibrio, si apprezza ancora il tenero, delicato «Anita», riuscito omaggio musicale all’arrivo della figlioletta, anche se i momenti più intensi sono quelli in cui interviene anche Youssef, un artista col quale Casarano collabora sin dal 2019 e che si inserisce con notevole efficacia nel tessuto musicale dell’album.

Lo si ascolta innanzitutto nel crepuscolare «To fly», nel quale il sax soprano e l’oud si abbandonano alla sensualità di una danza araba, mentre in «Malaspina» è la voce a imporsi con un canto che profuma di antico e che potrebbe levarsi tanto dal minareto di una moschea, quanto in una serata glam in stile Buddha Bar. Il conclusivo «Trance in Space» proietta invece gli ascoltatori in una suggestiva dimensione di taglio più decisamente spirituale nella quale il fluire del tempo sembra rispondere a regole più in sintonia con l’Universo che non con le angosce della quotidianità.

Un’ultima notazione sull’immagine di copertina, uno scatto dell’artista e fotografo salentino Marcello Moscara per un album che guarda alle radici non come legami da cui liberarsi, ma piuttosto come strumento per costruire ponti protesi verso il mondo.

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