L’«idillio infranto» tra il Cinema e la Puglia si è ricomposto solo da una trentina d’anni. La Puglia mortificata nell’immaginario collettivo lungo gran parte del ‘900, ha finalmente preso corpo sullo schermo grazie ai film di Rubini, Laudadio, Amelio, Placido, Olmi, Winspeare, Cirasola, Piva, Comencini, Albanese, Sciarra, Ozpetek, Nunziante, Checco Zalone, Base, Garrone, Mezzapesa, Fasano e tanti altri, non solo italiani. Anzi, sempre più spesso la Puglia ospita produzioni internazionali, dagli Usa all’India, e incornicia storie di migranti e fughe, drammi e danze, ritorni e lontananze, crimini e «distopie». Grazie al lavoro della Apulia Film Commission, non si tratta di una moda passeggera, bensì di una tendenza strutturata che estende i suoi influssi benefici sul turismo.
Insomma, la Puglia si è guadagnata un suo legittimo protagonismo tanto più ripensando a due fra i primi teorici della Settima arte, Sebastiano Arturo Luciani e Ricciotto Canudo detto le Barisien, nati in paesi che sembrano custodire sguardi limpidi e promesse di felicità tipici del Cinema. Quale effetto avranno suscitato nella Parigi d’inizio ‘900, memore del genio pittorico del barlettano Giuseppe De Nittis, nomi come Acquaviva delle Fonti e Gioia del Colle? Non giungeva forse dal Sud arcaico una corrente «calda» di modernità?
Il cinema vede la luce nella Parigi dei fratelli Lumière alla fine del 1895 e giusto ieri, 28 dicembre, ricorreva l’anniversario della prima proiezione pubblica. Dovrà trascorrere oltre un quarto di secolo perché i due primi film pugliesi di cui si ha traccia vengano prodotti a Lucera dalla «Garganica Film». Sono censiti da Vittorio Martinelli nel suo impareggiabile repertorio del «muto» (Rai-Eri) e schedati dal nostro Vito Attolini: Maria... viene a Marcello del 1923 e L’intrusa del ’27. Il terzo è appunto Idillio infranto, girato nel 1931 e proiettato in rare occasioni a partire dal ’33.
Idillio infranto è forse l’ultima pellicola muta realizzata in Italia negli stessi mesi dell’avvento del sonoro. Una rivoluzione che avrebbe trasformato l’industria e inciso radicalmente sui gusti del pubblico, mettendo in crisi persino Charlie Chaplin, del quale nel 1931 esce Luci della città, un capolavoro di rumori e musica, senza dialoghi. Idillio infranto sarebbe quindi rimasto per quasi sessant’anni in una cassapanca di Acquaviva, nella dimora di Orazio Campanella che lo produsse con la neonata «Apulia Cine» dichiarata nei titoli di testa istoriati dal motto caro alla Città, Pura defluit («Scorre limpida»).
Figlio di un possidente terriero e appassionato fotografo, Campanella mise in moto un’autentica macchina produttiva aiutato dal fotografo marchigiano Raul Perugini, destinato a una avventurosa carriera da cine-operatore dell’Istituto Luce nelle campagne militari in Africa e in Grecia. I due fecero convenire in paese il direttore artistico Nello Mauri con la moglie attrice Dirce Greselin, interprete di un ruolo comprimario nel film, e la diciannovenne protagonista bergamasca Ida Mantovani, già apparsa nel cast di un paio di film, secondo taluni indicata personalmente da Luciani (vero o falso che sia, è bello pensarlo).
La giovane donna nel film si chiama Maria ed è contesa da Carlo e Silvestro. Ad interpretarli sono Pasquale Jacobellis e Michele Silecchia, entrambi di Acquaviva: nella vita il primo diventerà un cardiologo affermato a Roma, il secondo resta a fare il fornaio in paese. Maria è innamorata di Carlo cui concede un bacio ardito e uno sguardo «elettrizzante», ma finirà per sposare l’altro, il prescelto da suo padre, un fattore indebitato che teme la rovina e scorge nel matrimonio d’interesse della figlia un’onorevole via d’uscita.
Nell’epilogo vediamo finalmente Maria sorridente, mentre i contadini, reduci da una rivolta, ballano nel tramonto. Maria sceglie la terra, da cui Carlo, deluso e tormentato, fugge verso una Bari lubrica e corruttrice simboleggiata dalla seducente suffragetta Silvana con cappello «giacobino» e sigaretta sempre tra le labbra; laddove Silvestro non tradisce i campi, avendone in premio l’amata.
Inabissatosi nel tempo, Idillio infranto riaffiora grazie al ritrovamento nel 1986 da parte di Franco Milella, un erede di Campanella, e, qualche anno dopo, a una prima ricognizione dello storico locale Sante Zirioni. Ad accudirlo da allora in avanti, con una tenacia che è una rivendicazione di orgoglio identitario, è il regista barese Angelo Amoroso d’Aragona. È lui a curare nel 1995 un primo ammirevole restauro dei 58 minuti di pellicola, in seguito impreziositi da più versioni della colonna sonora del compositore Nico Girasole, rigorosa dal punto di vista della filologia musicale e suggestiva grazie agli echi della rinata pizzica. Numerosi soggetti privati tra cui il Club delle Imprese di Confindustria Bari e poi pubblici come la Teca del Mediterraneo di Waldemaro Morgese e della compianta Maria Abenante (con Mario Musumeci), nonché la Cineteca Nazionale di Roma, contribuiscono lungo un ventennio al prezioso salvataggio e infine al restauro digitale della pellicola (2010), che verrà presentata in vari festival internazionali.
Il film è girato ad Acquaviva delle Fonti, anche nel teatro comunale che stasera ne festeggia il «ritorno a casa», nonché ad Alberobello, a Cassano delle Murge, forse a Gioia del Colle e naturalmente a Bari, nel suo «salotto buono» fra corso Vittorio Emanuele, teatro Margherita e via Sparano del blasonato «Mincuzzi» di cui s’intravedono le insegne. Non v’è accenno al mare, perché la quintessenza del film è tellurica, la stagione dominante è fredda, i conflitti rinviano alla dicotomia appartenenza-estraneità al mondo bucolico (d’altronde nel 1931 l’Italia contava poco più di 41 milioni di abitanti e il 51,7 per cento degli occupati lavorava nell’Agricoltura). Fin dal prologo del film vediamo i muretti a secco della campagna pugliese, i contadini alle prese con la semina, le piccole insurrezioni - arnesi alla mani - contro la prepotenza del mezzadro, che è il padre di Maria, invero non meno inguaiato.
Colpisce nella trama l’assenza di un qualsivoglia riferimento al fascismo: non c’è il gerarca del paese, non si vedono camicie nere, manca il sia pur minimo riferimento al duce. Addirittura, la datazione di una lettera amorosa inquadrata, vergata in Alberobello il 12 gennaio 1931, non riporta la rituale aggiunta (obbligatoria) dell’anno dell’era fascista in numero romano. Il che non autorizza certo a ritenere Idillio infranto un’opera «dissidente», ma spinge a considerare la persistenza di una estraneità al regime in una periferia in fondo non così estrema (la Fiera del Levante ha debuttato solo l’anno prima) e nel 1931 cruciale per il controllo del consenso, come testimonia il giuramento di fedeltà al fascismo richiesto in quell’anno ai docenti universitari.
A proposito di censura, in Idillio infranto Carlo e la sua amante barese depongono le due sigarette, inquadrate vicine nel posacenere, prima di concedersi le delizie di un amplesso che non vedremo! Quindi Silvana lo provoca, come recitano le didascalie: «Ti manca il soave profumo dei letamai? Hai nostalgia delle tue contadinotte?». Vero... Difatti il ritorno del Nostro al paesaggio agreste è scandito da uno stormo di colombe bianchissime che si mescolano sull’aia alle galline scure: le cromie nette come allegoria di un mondo senza le ambivalenze e la morbosità cittadine.
Ma sono le scene del mondo del lavoro e gli spunti documentaristici ad offrire al melodramma più di un tocco di realismo, in qualche modo accostabile per gli umori ribellistici a Sole, l’esordio nella regia di Alessandro Blasetti sulla bonifica dell’Agro Pontino (1929).
Dagli anni Trenta dei trulli e dell’amore spezzato fino a oggi, col suo presagio di futuro e lo struggente oblio cui è stato sottratto, Idillio infranto palpita su un orlo estremo: il crepuscolo del silenzio. Nell’odierna confusione delle immagini vale come un nitido invito al Cinema.
Il Teatro Luciani di Acquaviva delle Fonti stasera alle 19.30 inaugura la sua stagione cinematografica con «Idillio Infranto», girato tra Cassano Murge, Alberobello, Bari e Acquaviva della Fonti. Diverse scene del film muto, infatti, sono state girate proprio all’interno del Teatro Luciani, da poco restaurato. Per l’occasione, nel foyer del teatro è stata allestita una mostra di foto, locandine e articoli sul film curata da Gianluca Ferrulli e Dino Posa. Interverranno il sindaco di Acquaviva delle Fonti, Davide Carlucci, Caterina Grilli, assessore alla Cultura del Comune e Antonio Parente, direttore generale di Apulia Film Commission, Fondazione della quale a partire dal 2023 sarà socio anche il Comune di Acquaviva.