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Luciano Doddoli
inviato e scrittore

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

Luciano Doddoliinviato e scrittore

Autore di libri di successo, lasciò la Rai per la carta stampata. Era cugino di Montanelli.

Giovedì 03 Dicembre 2020, 21:46

22:13

Quando nei giornali erano ancora in auge gli inviati molto speciali, in giro a raccontare il mondo, uno di loro si chiamava Luciano Doddoli. Oggi sono quindici anni dalla sua scomparsa, a Roma, il 3 dicembre 2005. Aveva 77 anni. In quei giorni lo ricordarono solo “Liberazione”, di cui era stato il primo direttore, e pochi altri giornali. Perché il tempo non sempre è galantuomo e già allora pochi avrebbero saputo dire quali innovazioni apportarono nell’Italia anni ‘50-’70 testate come “La Gazzetta del Popolo”, “Rotosei”, “La Fiera letteraria”, “Paese sera”, “Italia domani”, di cui Doddoli fu inviato o direttore. Aveva cominciato nel 1951 come cronista al “Giornale d’Italia”, e, dopo essere passato anche per “Il Giorno” di Baldacci e per “L’Espresso”, approdò ai servizi culturali di Raidue diretta da Massimo Fichera. Ci stava bene, ma lasciò viale Mazzini anzitempo per passione politica – lui, vecchio militante comunista - quando Armando Cossutta e Sergio Garavini gli chiesero di far nascere il giornale di Rifondazione. Un paio d’anni, poi se ne andò a Itri, vicino Gaeta, dove s’era costruito un eremo su un monte che guarda il mare non lontano dalla casa di Fabrizia Ramondino, per ricominciare a scrivere libri, storie improntate alla “nostalgia del futuro, questo anacronismo che accompagna la mia esistenza”.

Libri che non trovarono un editore, nonostante Doddoli fosse l’autore di due coraggiosi epistolari autobiografici che, a metà anni Ottanta per i tipi di Rizzoli, fecero scalpore e vendettero centinaia di migliaia di copie, Lettere di un padre alla figlia che si droga e Lettere a Francesca che non si droga più; quindi nel 1994 il saggio-memoir Io sono, tu sei, egli no. Alla ricerca del linguaggio dei sensi, sempre per Rizzoli. Da curatore, gli chiesi di contribuire all’antologia Viva l’Italia. Undici racconti per un paese da non dividere (Fandango Libri, 2004): alla presentazione romana nella Feltrinelli di galleria Sordi c’era in prima fila un commosso Raffaele La Capria, “sono venuto per il mio amico Luciano”, e la severa rivista “Belfagor” diretta da Carlo Ferdinando Russo elogiò l’"estroso Doddoli, già allievo di Giorgio Pasquali e di Luigi Russo dopo la Liberazione in una Scuola Nuova sui colli di Firenze”.

A Firenze Doddoli era nato nel 1928, figlio di un avvocato mazziniano e antifascista e di una napoletana ex cantante della compagnia di Petrolini che ne aveva sposato la sorella. Vivevano a Fucecchio in una grande casa frequentata da amici che si chiamavano Piccioni e Calamandrei e, fra gli altri, da un cugino di Luciano soprannominato “il pastorello”. Era Indro Montanelli. La parentela e i rapporti fra i due sono esplorati anche nel primo volume della biografia di Montanelli scritta da Sandro Gerbi e Raffaele Liucci (Lo stregone, Einaudi ed., 2008). L’umor sapido alla fiorentina rimase sempre nell’ironia malinconica di Doddoli, che nel ’68 aveva sceneggiato un film d’animazione, Putiferio va alla guerra. Così, quando la concittadina e collega Oriana Fallaci cominciò a profondere rabbia e orgoglio da New York, le scrisse una beffarda lettera aperta: “T’arai i bai, avrai i bachi, Oriana… Dopo la diagnosi, la terapia: tu ti ‘ini e li ‘ai, cioè: tu ti chini e li cachi”.

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