Sarà colpa di Pulcinella, ma la comicità napoletana riserva quasi sempre un’irriducibile malinconia. Non è l’unica contraddizione in essere, perché la risata ncopp’ ‘o Vesuvio è filosofica e pragmatica, è sovversiva e apatica, è familiare eppur straniante; ha insomma qualcosa del “perturbante” di cui parla Freud. Secondo il “totoista” Achille Bonito Oliva, critico d'arte che gli ha dedicato mostre e studi, “Totò applica all'arte contemporanea il metodo socratico. Il suo slogan critico è: 'A prescindere'. Che poi significa sospendere giudizi e pregiudizi, e abbandonarsi all'evento. Ogni realtà diventa un fenomeno a sé. Come non pensare ad Husserl?”.
Totò è il campione di tale comicità “postmoderna” ante litteram, un principe novecentesco della scena al pari di Eduardo, entrambi tanto popolari da essere appellati senza il cognome, sebbene non privi di un tratto altezzoso, del resto iscritto nel predicato nobiliare: De Curtis più naif, De Filippo più rigoroso. Una distanza dal volgo che si percepisce meno in Sophia, a sua volta sinonimica di Napoli nel mondo. Negli episodi di L’oro di Napoli (1954) di Vittorio De Sica, dai racconti di Giuseppe Marotta, ci sono tutti e tre: Eduardo (“Il professore”), Totò (“Il guappo”), e la Loren (“Pizze a credito”), oltre a Silvana Mangano (“Teresa”) e allo stesso De Sica (“I giocatori”). Il film è un trionfo di pazzarielli e di vitalità partenopea tra piazza Plebiscito e il rione Materdei, mentre la casa di Totò è alla cosiddetta “Salita dei Cinesi”, che fin dal 1720 può considerarsi la prima Chinatown italiana (non solo turchi, ma anche cinesi napoletani!). Ritroviamo Totò, fra i molti altri titoli, anche in Miseria e nobiltà nel 1954 con la regia di Mario Mattoli e in Operazione San Gennaro di Dino Risi (1966).
Ma naturalmente il suo ghigno e la sua smorfia vanno ben al di là di Napoli e si proiettano lontano, fino a costituire quel Pianeta Totò circonfuso da un culto popolare che mezzo secolo dopo non scema, anzi. La memoria di Totò è in campo contro un’attualità deludente o canagliesca, per cui si ricorre a lui come a un vendicatore dell’onore nazionale calpestato dalla politica: “Italiano, vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio La Trippa!”. E che sarebbe andata così si capisce subito dopo la sua morte. Per dire addio al principe plebeo Antonio De Curtis di Bisanzio, scomparso a Roma il 15 aprile 1967, si celebrano un rito nella capitale e un doppio funerale napoletano. Il primo nella basilica del Carmine Maggiore con un’orazione di Nino Taranto e istanti di panico quando tra la folla qualcuno riconosce… Totò (era il principe Dino Valdi, controfigura dell’attore). Il secondo oltre un mese dopo, il 22 maggio, nella chiesa di San Vincenzo del “suo” rione Sanità (Totò era nato in via S. M. Antesaecula), con una bara vuota, alla presenza della figlia Liliana De Curtis.
L’ultima compagna di Totò, di poco più grande di Liliana, Franca Faldini (scomparsa tre anni fa, il 22 luglio 2016, ndr), è stata l'autrice di parecchi volumi sul grande attore e sull’avventurosa storia del cinema italiano, scritti con Goffredo Fofi. A lei dobbiamo la diffusione di molti aneddoti, come quello della visita che Pier Paolo Pasolini (PPP) e Ninetto Davoli resero al Nostro per proporgli di interpretare Uccellacci e uccellini (1966, sarebbe stata la sua ultima pellicola da protagonista). Dopo aver posseduto un piccolo rifugio in via Margutta 51, nel medesimo palazzo dove c'è la casa dell'amore tra Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze romane, nel 1965 Totò abita in via di Monte Parioli, il quartiere romano preferito, dove in passato aveva acquistato un appartamento nel leggendario palazzo del “Girasole” progettato da Luigi Moretti (coinquilino Roberto Rossellini), poi venduto per saldare le tasse che lo angustiavano. Alla fine della cena, Totò e Franca invitano il regista e il giovanissimo calabrese cresciuto in una baraccopoli del Prenestino a prendere il caffè in salotto. Poi, appena vanno via, il principe accorre nel ripostiglio, prende un barattolo dell'insetticida DDT e lo spruzza sulla poltrona di pelle, là dove era seduto Ninetto. Un gesto da caporale? Forse, però l'uomo era più forte, ovvero quando c’è la salute, tampoco, eziandio, appunto dico… Totò e Ninetto divennero grandi amici sul set.
---
Articolo apparso sulla Rivista del Cinematografo n.4/aprile 2017, per il cinquantennale della morte di Totò