Quanto basta, in cucina come nei giorni scanditi dal post Covid. E l’odore di una lettera ingiallita, datata 1953, diventa il pizzico di sale che rende meno scialbo questo tempo non ordinario. “Siamo distaccati, ma sempre più vicini”. Recita così l’incipit dell’epistola ritrovata in questi giorni che Armando aveva inviato alla madre Francesca due anni prima di morire in un incidente stradale a soli 44 anni. Le distanze – lui a Taranto per lavoro, lei a Mesagne –impedivano di trascorrere il Natale insieme. “Il destino ha voluto che io sia lontano: è la metamorfosi della vita. Io sto bene, grazie a Dio e spero lo stesso di voi. Questo Natale festeggerò vicino ai miei piccoli, voi tutti festeggiatelo con lo stesso ardore e la stessa armonia, inneggiando alla vita che ci ha fatto nascere, vivere ed amare”.
Parole che, sebbene concepite 67 anni fa, fanno eco in questo equilibrio così precario, in cui un passo alla volta, anzi, un pizzico alla volta, aiutano a rendere, forse, meno amaro il piatto del giorno. “Cara mamma, ti mando un po’ di frutta squisita. Fattene una buona scorpacciata. Per te il miglior boccone che non ti farà male e che sarà anche di tuo gradito gusto”. I pacchi evidentemente hanno sempre avuto una vita propria, una storia parallela, viaggiando di famiglia in famiglia, dal Sud al Nord, al solo fine di portare sollievo, una pratica usitata oramai. Dal Sud avranno preso il largo derrate alimentari che avrebbero potuto sfamare un esercito in tempi di magra. Armando si rivolge alla madre in segno di gratitudine. “Il tempo passa ma il ricordo e l’affetto materno grande non tramontano mai, il nostro affetto familiare è un affetto raro, come fare a dimenticarlo? Mi auguro che i miei figli seguano il mio esempio e, attraverso le immense difficoltà della vita, unico e amoroso conforto sono i genitori: e soprattutto la mamma. Soltanto allora la perla della coscienza è salva”.
Anche oggi, in un 2020 iniziato nel nome di un flagello che si insinua nelle fragilità, siamo noi figli che abbiamo il dovere morale di proteggere i nostri genitori, l’anello più debole della catena. Che questo virus sia riuscito a sconvolgere le nostre vite, riportandoci a rispolverare sentimenti dimenticati, la noia, la paura, l’umiltà, lo abbiamo compreso sin da subito. Eppure, ritrovarsi tra le mura domestiche, ci porta a compiere azioni che abbiamo sempre rimandato. “Non ho tempo” lo abbiamo pronunciato così tante volte da farne un mantra. Oggi, come in un cerchio dantesco, per la legge del contrappasso ne abbiamo talmente tanto da non sapere che farne. Eppure, innaffiare le piante e attendere con pazienza che sbocci il fiore, preparare un piatto e gustarlo con soddisfazione allo stesso desco, capire il prezzo della libertà e alzare lo sguardo al cielo con fede e speranza, pregando insieme con il Papa in una piazza che non è mai stata così eloquente, sono le lezioni più belle che potessimo sperare da un anno, partito male, ma che, come ha scritto Armando in quel lontano 1953, ci vede “distaccati, ma sempre più vicini”.