BARI - Il 16 marzo del 2002 ci lasciava il geniale artista italiano Carmelo Bene. Dall'esordio nel 1967 come attore in Edipo Re di Pier Paolo Pasolini alla regia di Un Amleto di meno, datata 1973, passando per innumerevoli incursioni cinematografiche del grande autore salentino. A farci rivivere la sua arte è il video diretto da Giuseppe Sansonna. Ecco un estratto del trailer Tracce di Bene.
Sinossi - Cambiava voce, puntualmente. Tornava bambino, anche negli ultimi mesi di vita. Gli bastava sprofondare nei ricordi e Carmelo Bene riacquistava un timbro argentino, da Pinocchio fragile, eccitato da lampi lucignoleschi. Un prodigio evocato dall’esclusiva presenza di pochi amici fidati, come Giancarlo Dotto. Si spogliava così delle crudeltà amletiche e delle amplificazioni elettroniche. Risaliva il fiume di Ballantine’s che gli aveva inondato la gola per decenni. Esorcizzava tonnellate di Gitanes, cento al giorno, aspirate a fondo. Accantonava il tono da belva reclusa delle ribalte televisive e cominciava a ridere teneramente di sé, del proprio passato e dell'insensatezza irresistibile della vita.
«L’idea fondativa del film - spiega Sansonna - consiste nel recuperare il sussurro medianico, da scatola nera, di Carmelo Bene. Trasformandolo in voice over, dando corpo e immagine a ciò che Carmelo Bene ha vissuto o creduto di vivere. Ricostruire le sequenze cinematografiche che la voce evoca, impastandole con i repertori più disparati, visivi e sonori. Nel film Luigi Mezzanotte e Flavio Bucci appaiono come fantasmi ricorrenti, chiamati a vestire ruoli diversi nella memoria immaginaria suggerita dalla voce». «Mi piace pensare che siano il Gatto e la Volpe chiamati a vegliare da guitti la memoria del Pinocchio assente. Luigi Mezzanotte era stato davvero il Gatto, e persino Lucignolo e la Volpe, in diverse edizioni del Pinocchio beniano. Flavio Bucci, invece, col mondo di Bene c'entra apparentemente pochissimo». E aggiunge: «Per tutta la sua vita artistica ha giocato a fare il mattatore tradizionale, scettico nei riguardi di qualsiasi avanguardia. Però la faccia espressionista, la vena di folia gogoliana e gli occhi roteanti, striati di alcol e sostanze forti, da rondone, lo rendono perfetto per alcune
figure di stralunati uomini ottocenteschi, affioranti dalle memorie di Carmelo. Il gioco era ricomporre un'autobiografia monca, autenticamente immaginata. Un ritratto obliquo che eludesse il demenziale tentativo di spiegare Carmelo Bene, che ha passato un'intera, bruciante esistenza a (non) spiegarsi da solo. Siamo partiti da un nastro di Krapp che Carmelo Bene ha ripetuto a se stesso fino agli ultimi giorni, come se fosse uno dei pochi mantra in grado di consolarlo».
«Raccontandosi quelle tracce di vita, sembra ricongiungersi a una profonda verità interiore. Dai mormorii di questo fluviale flusso di coscienza affiora un Salento bunueliano, cristallizzato in un tempo circolare. Escluso dalla Storia e dalle sue illusioni di progresso, sorvolato da santi in estasi, alleggeriti della zavorra del pensiero, e quindi miracolosamente in grado di levitare a bocca aperta. Come rimaneva spesso il piccolo Carmelo, in un'infanzia di puro, onnipotente stupore, in
cui le bombe alleate che piovono dal cielo sfumano nei botti multicolori da sagra ferragostana, mentre preti dalla dottrina incerta arringano anziane beghine, involontarie deformatrici della liturgia». «L'infanzia - conclude il regista - sfuma nella giovinezza e la rotazione di eventi si fa vertiginosa: da una terrazza veneziana dove mette a punto con Albert Camus il suo folgorante esordio in scena, Carmelo si ritrova recluso con i cronici irreversibili del manicomio di Lecce, su disposizione di genitori decisi a contenerne la follia. Non ci riuscirono. E non ci riuscì nessun altro».
VIDEO CREDIT: GIUSEPPE SANSONNA - FOTOGRAFIA DI SERGIO GRILLO