BARI - È arrivata tanta solidarietà dalla comunità del Politecnico di Bari per la lettera lasciata sull'albero di Natale da uno studente anonimo, in cui descriveva tutta la sua solitudine e amarezza. Prima l'appello sui social, poi i messaggi di conforto lasciati accanto al suo. E infine, un tentativo di mettersi insieme, di iniziare un percorso di comunità per mettere insieme le tanti voci che, nel corso del cammino universitario, si sono sentite perse e sole. All'indomani dell'assemblea pubblica organizzata dai ragazzi dell'Università, però, c'è anche un'attenta riflessione su come il tutto è stato affrontato. E anche il bisogno di fare qualcosa di più.
«Sono rimasto colpito dalla lettera ma non sorpreso - racconta Luca, uno studente magistrale di ingegneria -. Chiunque abbia frequentato qualsiasi ambiente universitario sa già che il percorso può essere impervio e pieno di ostacoli e nella maggior dei casi mancano gli strumenti per poter gestire le situazioni in cui ci si trova. Sono anni di formazione non solo professionale ma anche personale e spesso ci si può sentire sbagliati confrontandosi agli altri. Se avessi scritto la lettera non mi sarebbe piaciuto essere così al centro dell’attenzione, devo dire: avrei preferito più riservatezza».
«Ho empatizzato molto con il contenuto della lettera - racconta un altro studente, Matteo - ma ciò che mi ha colpito di più è stato tutto ciò che si è creato attorno. È il sintomo di quanto il tema della salute mentale è importante per noi studenti. In generale penso non ci sia stata però la delicatezza che un tema del genere richiederebbe, per quanto il gesto di diffondere la lettera via social dalla professoressa sia stato fatto in buona fede. Tutti noi a un certo punto ci siamo sentiti smarriti, penso in particolare ai fuori corso e a quanti rimangono tagliati fuori dai gruppi di studio. Sentiamo il bisogno di una comunità che si supporti e non porti le persone ad aspettare Natale per tirare fuori le proprie emozioni. Nell'assemblea di ieri abbiamo messo in campo alcune idee, pensiamo ad esempio di costruire delle box all'interno dell'Università che siano un presidio di aiuto per la comunità. Va fatto un lavoro strutturale che coinvolga anche il personale accademico».
«Mi sono sentita molto vicina al contenuto di quella lettera, ma se fossi stata io a scriverla mi sarei sentita a disagio con tutto l'eco mediatico che ha ricevuto... so che è stato fatto tutto in buona fede però non deve essere stato facile per lui o lei» dice Lucia, studentessa triennale al Politecnico. «Sarebbe bello se tutta questa solidarietà dei professori ci fosse anche tutto l'anno - fa eco una sua collega - molti si sentono sfiduciati e stanchi anche per colpa dell'atteggiamento di alcuni di loro...»
«Anche io ho vissuto periodi bui - racconta Riccardo, studente magistrale - e credo che un po' tutti qui ci sentiamo un po' soli. Non solo noi, un po' tutti gli studenti universitari. Sicuramente la pandemia ha inciso molto su questo mood generale. Ho provato lo stesso senso di solitudine, e volevo dirgli anche io che non è solo. Ho apprezzato molto la risposta della comunità studentesca. Non giustifico però che la lettera sia stata diffusa per intero, non capisco le modalità, ecco. Ma errare è umano. Credo sinceramente che possa essere un punto di partenza per creare una comunità all'interno del campus».