È definito l’Oscar dei formaggi e rappresenta un’eccellenza assoluta della tavola pugliese: il Caciocavallo Podolico del Gargano, presidio Slow Food da ventitré anni, occupa un posto di rilievo nell’olimpo dei giacimenti gastronomici da conservare e valorizzare. Il prodotto si affianca agli altri due presìdi zootecnici del Tavoliere delle Puglie: la Vacca Podolica del Gargano e la Capra Garganica; la Pecora Gentile di Puglia, allevata anch’essa prevalentemente in provincia di Foggia fino ai confini con la riserva naturale della Foresta Umbra, gode del posizionamento nell’Arca del Gusto di Slow Food, in attesa di essere tutelata in un presidio. Un tempo considerata animale da lavoro, l’antica razza podolica continua a vivere allo stato brado in diverse regioni dell’Italia meridionale, conservata nei rispettivi presìdi territoriali: oltre la Puglia, anche la Campania, la Calabria e la Basilicata. Il mantello di questo splendido esemplare è di colore grigio e diventa leggermente più chiaro negli esemplari femmine.
L’animale, pascolando in aperta natura, si nutre esclusivamente di erbe e arbusti spontanei che conferiscono alla carne, e al latte soprattutto, sentori, profumi e indizi palatali molto specifici. Eppure, nel recente passato, c’è stato un momento ben preciso in cui il rischio che la podolica e il caciocavallo andassero perduti definitivamente era più che tangibile: “Nei primi anni Duemila, per l’esattezza, quando le podoliche non erano competitive sul mercato, i costi erano troppo alti e le quantità di produzione estremamente ridotte”, racconta Giuseppe Bramante, allevatore di razza podolica e produttore di caciocavallo podolico nella sua “Masseria Paglicci”, azienda di Rignano Garganico immersa nelle distese di ulivi secolari e circondata dai pascoli. A quei tempi, infatti, gli allevamenti di podolica in purezza si contavano sulle dita di una mano: “Eravamo in pochi, insieme a me il maestro Ciccio Demajo, medico oculista, ma soprattutto agricoltore e allevatore, conduceva la sua battaglia solitaria. Selvaggia e resistente, la razza rustica nel frattempo era stata incrociata con esemplari diversi, ma sempre rispettando i corsi naturali e la territorialità del Gargano”, racconta l’allevatore.
Il primo punto di svolta nella storia della podolica e del suo caciocavallo arriva con la costituzione del Parco Nazionale del Gargano: “Il Parco iniziò ad incentivare gli allevatori alla conservazione della purezza della razza, anche con aiuti economici per l’acquisto del toro podolico, fondamentale per il corso naturale della produzione. Gli esperti zootecnici del Nord raggiunsero la Puglia per effettuare le verifiche sugli esemplari, studiare gli standard e procedere alle iscrizioni nel registro”. Altro step fondamentale, di lì a poco, “il Salone del Gusto nel Duemila, prima occasione ufficiale in cui il Caciocavallo Podolico venne formalmente presentato da Slow Food fra i primi cento prodotti nazionali da tutelare”. Il successo è grande, la macchina inizia a muoversi e “finalmente il prodotto comincia ad essere apprezzato a livello nazionale e, paradossalmente, anche a livello locale”. A crescere, insieme alla reputazione qualitativa legata alla produzione della podolica, è anche la dignità degli allevatori, “fino a quel momento tenuti in minima considerazione”: “Avere la consapevolezza di fare qualcosa di importante è motivo di grande orgoglio, quindi qualcosa di cui mai ci si dovrebbe vergognare.
Eppure, una grande soddisfazione ci è stata regalata dalle copertine dei giornali, con i casari e gli allevatori in posa come star”. La lavorazione del caciocavallo podolico è minuziosa: si caglia il latte e poi si rompe la cagliata in grani della misura di un chicco di riso. La pasta matura nel siero contenuto in una tinozza e viene messa a sgrondare su un tavolo di legno inclinato. Quindi si taglia a fette, si fila con acqua bollente e si modella il formaggio, fino a raggiungere la caratteristica forma panciuta. La manualità richiede tranquillità, pazienza, le stesse che pervadono chi osserva una mandria di vacche podoliche al pascolo, sullo sfondo meraviglioso della macchia mediterranea.
“La madre cede il latte soltanto nel momento in cui riconosce il figlio; è in quel preciso momento che avviene la mungitura – spiega Bramante – quando le vacche madri, chiuse all’interno del recinto, riconoscono il vitellino e, viceversa, il vitello si avvicina alla sua mamma. Se il vitellino manca, il latte non ci sarà”. Gli effetti positivi dei presìdi Slow Food sono cresciuti nel tempo: “Molti allevatori sono tornati ad allevare le razze in purezza, molte criticità sono venute meno. Oggi si contano una cinquantina di allevamenti, con un aumento considerevole del numero dei capi. Certo, la produzione resta di nicchia, limitata ad alcuni mesi dell’anno perché legata alla naturalità dei cicli. L’estate ad esempio è la stagione per noi più critica, arriva il caldo, l’acqua diminuisce e l’erba secca”.
Nell’ultimo periodo, il produttore ce lo conferma, è cresciuta anche l’attenzione all’aspetto sostenibile degli allevamenti, “tutt’altra cosa rispetto a quelli intensivi, noi tuteliamo il benessere dell’animale”. Un prodotto talmente eccellente, il Caciocavallo Podolico del Gargano, che nella sua carta identità ben presto potrebbe vedere scritta la sigla DOP. “Gli animali che allevo vengono presi in carico e trasformati da Michele Sabatino, bravissimo macellaio di Apricena, protagonista di una vera operazione culturale su uno dei mestieri più antichi e nobili del mondo”.
In conclusione, un consiglio per i consumatori? “Diffidate dalle imitazioni -; sentenzia l’allevatore dauno - oggi podolico è sinonimo di naturale, genuino, ma è necessario essere sempre molto attenti e affidarsi ai produttori del presidio, visitare le aziende, toccare con mano l’eccellenza del prodotto e le sue tradizioni».