Un killer spietato, una ferocia criminale, un'omertà diffusa e soprattutto un clima di terrore paragonabile a quello vissuto dalla citta di Taranto nei primi anni '90. Non lasciano spazio a interpretazioni le parole utilizzate dai pubblici ministeri Salvatore Colella della procura di Taranto e Milto De Nozza della direzione distrettuale Atimafia di Lecce. Il conflitto a fuoco che ha scolto la serata del 16 luglio nel capoluogo ionico è un episodio grave e sintomatico di un cambio di atteggiamento della criminalità ionica.
Nel recente passato, infatti, non sono mancati fatti di sangue, ma i nomi delle famiglie coinvolte nella vicenda e le ragioni che portato allo scontro i due gruppi, sono un segnale inquietante che alcuni equilibri, almeno nel rione Tamburi sono evidentemente saltati: «una pericolosità sociale e criminale fuori dagli schemi comuni» scrivono infatti gli inquirenti. I fatti avvenuti, stando a quanto si legge nelle 15 pagine che compongono il decreto di fermo, sono «generativi di un profondo e diffuso allarme sociale nonché dimostrativi della assoluta ferocia criminale e della spregiudicatezza del suo autore»: per i magistrati, infatti, la spietatezza del killer Michele Caforio, emerge dal fatto che non ha avuto alcuna esitazione nell’esplodere numerosi colpi di arma da fuoco all’indirizzo di due persone in pubblica piazza ed alla presenza di numerose altre persone. Eppure non una parola è stata raccontata agli investigatori per fare luce sulla vicenda: l'episodio si è verificato in strada, in un momento di affollamento e ampia partecipazione popolare, «nessuno ha voluto fornire alcuna indicazione investigativamente utile, a dimostrazione del clima di profonda omertà espresso dal patrimonio sociale di riferimento». Neppure la presenza delle forze dell'ordine e di ben tre uomini feriti da armi da fuoco e riversi in tre pozze di sangue è stato sufficiente a smuovere il silenzio.