TARANTO - «Pochi giorni fa c'è stato un incidente, come spesso può capitare, negli altoforni della siderurgia di Taranto...». Firmato Adolfo Urso, ministro della Repubblica italiana, con delega alle imprese e al made in Italy.
L'incidente di cui parla l'esponente del Governo Meloni è l'incendio che il 7 maggio si è sviluppato nell'Altoforno 1 dello stabilimento di Taranto e che, a detta di tutte le parti, poteva causare una strage. Per spegnere le fiamme i vigili del fuoco hanno impiegato sei ore: il materiale incandescente non ha solo invaso il cosiddetto campo di colata, cioè l'area intorno al forno, ma anche la strada esterna accendendo persino alcune parti di una spazzatrice. Cinque operai sono stati portati in infermeria per piccole ustioni ed escoriazioni. Niente di grave stavolta.
Se sia stata la fortuna o i sistemi di allarme a evitare una tragedia lo dirà l'indagine in corso, ma nell'ex Ilva di Taranto non è sempre andata così. Anzi. In quegli incidenti che «spesso» (cit. Urso) possono succedere hanno perso la vita decine e decine di operai. Solo dal 2012 in poi si contano nove morti. Caduti in mare con le gru, stritolati nei nastri trasportatori o bruciati dai gas dei forni.
Era luglio 2012 quando il giudice Patrizia Todisco firmò il sequestro senza facoltà d'uso e poco dopo un incidente capitò a Claudio Marsella, 29enne di Oria schiacciato tra due locomotori durante le operazioni aggancio nel reparto Mof. Il 28 novembre, meno di un mese dopo, un uragano si abbatte su Taranto: Francesco Zaccaria era nella cabina della gru al molo portuale gestito dell’Ilva per scaricare materie prime da una nave attraccata in banchina. Nessuno gli ordina di scendere e resta nella cabina anche quando la tempesta la trascina in mare, annegandolo. Aveva anche lui 29 anni. Ciro Moccia, invece, di anni ne aveva 42: morì in un incidente durante i lavori di manutenzione nel reparto Cokerie. Angelo Iodice, morì in un incidente il 4 settembre 2014: l'operaio di una ditta dell'indotto era impegnato in alcune attività di manutenzione nell’area dell’Acciaieria 1, dove nei giorni precedenti si era verificato uno sversamento di ghisa, quando fu travolto sui binari da un mezzo meccanico guidato da un altro operaio. Un altro incidente colpì Alessandro Morricella: l'8 giugno 2015 una fiammata nell'Altoforno 2 investì in pieno il 35enne lavoratore Ilva causando ustioni nel 90 per cento del corpo: morì alcuni giorni dopo. Qualche mese dopo, un altro incidente spezza la vita di Cosimo Martucci: 49 anni, dipendente della ditta dell'appalto, viene travolto e ucciso da un grosso tubo d’acciaio durante le fasi di scarico di pezzi di carpenteria metallica della nuova condotta per l’aspirazione di fumi e polveri. Anche Giacomo Campo lavorava in nell'indotto: è stato vittima di un incidente il 17 settembre 2016, schiacciato all’interno di un nastro trasportatore. A maggio 2018 l'appalto conta un'altra vittima: un incidente al porto costa la vita ad Angelo Fuggiano, 28 anni, quando un cavo salta durante di ancoraggio al molo e lo travolge. Sempre lì al porto muore Cosimo Massaro: un nuovo tornado a luglio 2019 si abbatte su Taranto e trascina in mare una gru. Il 38enne muore in un incidente fin troppo simile a quello di Zaccaria. Cose capitano «spesso», insomma. E che costano vite. Altrettanto spesso.
Ieri, inoltre, il ministro Urso è tornato a criticare la Procura di Taranto sulla tempistica di rilascio delle autorizzazioni a intervenire sull’altoforno 1, beccandosi la reprimenda di Bonelli (Verdi) e Turco (M5s). «Sconcerta vedere il ministro Urso attaccare ancora con forza i magistrati sull’ex Ilva in merito alle vicissitudini degli altiforni del sito: un’offensiva pietosa la sua - ha detto Turco - aggravata da diverse uscite a pappagallo di esponenti di Fdi, che fino a qualche settimana fa sostenevano che la fabbrica era stata riconvertita e che non ha mai inquinato. Dopo l’imbarazzante quanto deprimente informativa, il ministro dell’Industria sta tentando di buttarla in gazzarra per nascondere agli italiani il suo evidente fallimento nella gestione di quello che doveva essere il fantomatico nuovo corso dell’acciaieria tarantina».