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Taranto, quando di politica e di calcio si parlava ai tavolini del Royal Bar

Taranto, quando di politica e di calcio si parlava ai tavolini del Royal Bar

 
alessandra cavallaro

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alessandra cavallaro

Taranto, quando di politica e di calcio si parlava ai tavolini del Royal Bar

Una passeggiata nei ricordi dello storico locale gestito dalla famiglia Giudetti: i tre fratelli Nico, Pino e Tonio hanno raccolto l’eredità del papà Emanuele, scomparso nel 2008

Venerdì 04 Aprile 2025, 13:48

13:49

«Nico ti va se raccontiamo la storia del Royal?». «Sì, sono contento se facciamo ancora un pezzo di strada insieme». I ricordi si intrecciano, creando un’andatura fluida. Sono quelli dell’Alessandra bambina,7-8 anni al massimo, che si cuciono assieme ai pensieri sparsi di Nico Giudetti, il più grande dei tre fratelli, Pino e Tonio gli altri due, che hanno raccolto l’eredità del papà Emanuele, scomparso nel 2008. «Quando abbiamo annunciato la chiusura del Royal, abbiamo ricevuto tanto affetto e tante attestazione di stima, ma il 70% è di mio padre, il 30% è nostro». Una frase che vale quanto un sigillo, l’impronta di riconoscenza di un figlio verso un padre.

Sono cresciuta dentro al Royal Bar, la mia famiglia era legata da un’amicizia solida con “i Giudetti”. Compleanni, cene, viaggi. Sui tavoli del Royal giocavo con le barbie con la figlia di Nico, Stefania. Ogni domenica assistevo al rito dello sfoglio dei giornali, respiravo i commenti, e vedevo passare gli uomini che maneggiavano la politica tarantina. Solo che per me, piccola, erano solo uomini. Li chiamavo “zio”, tanta era la confidenzialità. Sono gli anni ’80 e il Royal non era solo un bar. «I consigli comunali li facevano da noi, a qualsiasi ora passavi c’era un politico. Il nostro sembrava un ufficio». Sorride Nico, mentre dice la verità. I tre fratelli Giudetti sono legati da una passione, intesa come gioia e martirio, ed è quella per il Taranto Calcio. «La domenica prima della partita la gente passava da noi, un po' per scaramanzia un po' per tradizione. Che belli i tempi della squadra in serie B! Qui era un via vai». Ancora un sorriso, e stavolta dall’altra parte della cornetta si sente forte.

«La Politica, il calcio e la bella borghesia tarantina erano i volti del Royal – avanza nella memoria Nico - Ma lo sai che professionisti, imprenditori, uomini di cultura, avevano un tavolo sempre prenotato? Arrivavano alle sei del pomeriggio, al tempo non c’erano i cellulari, e si fermavano a parlare fino alle otto e mezza. E noi con loro». Poi la voce di Nico si ferma. «Ale, tutte le mattine passava dal Royal tuo nonno Beppe, prendeva il suo caffè, e iniziava a scrivere i suoi articoli». No, non lo sapevo, ma me lo immagino con il suo cappello a falda larga e il suo cappotto cammello, come nella foto appesa a casa di mia zia. Sì, doveva essere elegante anche quando concepiva parole. Il Royal Bar è stata la grande sfida di Emanuele Giudetti, anche lui un uomo d’altri tempi. Compra nel ’61 e nel ’63 inaugura.

«Noi avevamo un bar in via d’Aquino ma eravamo in affitto, e papà voleva comprare le mura. In quegli anni era una follia spostarsi dal centro per andare praticamente in campagna. C’era poco e niente, qualche villetta sparsa, i Salesiani, e ancora una periferia da costruire. Ma quella scommessa l’abbiamo vinta, è un po' come aver spostato un passo alla volta l’asse della città». Il tono di voce di Nico si riempie di orgoglio e affiorano, ora, i suoi ricordi di quando era ragazzino. «Di fronte a noi c’era l’Hotel Jolly, al tempo rinomato, da lì ho visto uscire Almirante ma anche le sorelle Kessler. Una sera l’albergo ospitava Wess e Dori Ghezzi, li aspettammo aperti perché volevano mangiare e chiudemmo all’1.30 di notte. Ale però era un piacere, perché se questo lavoro ti piace è bellissimo».

C’è ancora il tempo per un ultimo ricordo, ed è il mio. Sono gli anni ’90 e sono in piena adolescenza. Ogni sera, anche durante la settimana, comitive di giovani si davano appuntamento davanti al Royal. Arrivavano in motorino, e non sia mai che si parcheggiava ordinati. Chi arrivava con lo zaino ancora pieno di libri, reduce da qualche ripetizione, chi per fumarsi una sigaretta. Era un tempo leggero, sospeso, denso. Tangibile e scolpito.

Se c’è un luogo dove la felicità ha saputo moltiplicarsi negli anni, quello è il Royal Bar. E la felicità è traccia indelebile. Ecco, a chi verrà, se verrà ad abitare queste mura, solo un’accortezza: storie come questa, vanno onorate.

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