TARANTO - Francesco Marangione è un giovane mitilicoltore che, in questi mesi di crisi del comparto, ha sperimentato una coltivazione delle ostriche ad impatto zero. Una scommessa vincente, come raccontato da TgNorba24, ma ora per andare avanti servono finanziamenti. «Io – racconta - sono un portatore di tradizioni. Vengo da tre generazioni di ostricoltori e mitilicoltori. Il mio bisnonno, mio nonno e mio padre erano tutti coltivatori di ostriche». Una lunga tradizione tarantina terminata nel 1968 con l’avvento della grande industria. «Molti coltivatori – spiega Francesco alla Gazzetta - preferirono diventare operai. Ma c’è un motivo tecnico: quando sono state costruite le idrovore per l’Italsider nel primo seno del Mar Piccolo, risucchiavano migliaia di ettolitri di acqua, per il raffreddamento degli impianti, ma questo significava anche risucchiare le larve delle ostriche. Ora gli impianti dell’Ilva producono un quarto di quello che producevano negli anni ‘70 e ‘80, così le larve riescono a posarsi e avviare il vecchio sistema della captazione delle ostriche».
Francesco e i suoi soci a causa dell’eccessivo aumento delle temperature delle acque del secondo seno del Mar Piccolo, hanno perso il 95 per cento della loro produzione di mitili. «È dal 2011 – afferma - che stiamo combattendo per resistere. Lo scorso inverno ho fatto un piccolissimo esperimento attraverso i ricordi di mio padre e mio zio Vincenzo Marangione, che era un capobarca ostricoltore». Dai ricordi Francesco è riuscito a ricostruire il ciclo della coltivazione, anche grazie alla potatura della macchia mediterranea donatagli dal Wwf di Taranto. Ha iniziato il lungo trattamento e in inverno le ha messe a mare. «Nonostante il caldo forte – aggiunge - il cambiamento climatico, quando sono andato a sollevarle ho trovato un tesoro. Il 50 per cento delle ostriche aveva attecchito. Le larve delle cozze hanno un procedimento di coltivazione differente da quello delle cozze, navigano sul fondale». Di regola avrebbe dovuto sollevarle le fascine a giugno, quando i fondali non sono ancora bollenti, ma era preso dalle cozze, dalla perdita di tante tonnellate di prodotto, e dalla disperazione perché la sua è una famiglia che vive solo di marineria. Trovare le ostriche gli ha dato una speranza. «In otto mesi erano già molto grandi. Ad un’ostrica servono almeno 20 mesi per diventare da tavola».
In questi mesi di crisi Francesco ha dovuto fare un secondo lavoro, «il facchino» come dice lui, per mantenere i suoi figli. «Se questa produzione – dice speranzoso - fosse sostenuta da finanziatori, potremmo dedicarci completamente all’ostricoltura e alla mitilicoltura, potremmo farla funzionare, creare un nuovo comparto e posti di lavoro. Sarebbe bello ridare una speranza a tanta gente».