TARANTO - Cosimo Nardelli non è morto per la decisione del fratello Tiziano ma perché ha sfidato il gruppo di Paolo Vuto. È quanto in estrema sintesi ha sostenuto nell’udienza di ieri l’avvocato Luigi Danucci difensore di Tiziano Nardelli accusato di essere uno dei mandanti dell’omicidio eseguito con modalità mafiosa di Mimmo Nardelli, freddato a colpi di pistola sotto il portone della sua abitazione in via Cugini il 26 maggio del 2023. Nel processo che vede imputati anche il 44enne Paolo Vuto, ritenuto l’organizzatore dell’agguato, il figlio Aldo Cristian Vuto ventenne reo confesso di essere l’esecutore materiale del delitto e infine Francesco Vuto,, cugino di Paolo, che per l’accusa guidava lo scooter su cui quella notte viaggiava il killer.
Nell’intervento durato fino a pomeriggio, l’avvocato Danucci ha ripercorso i mesi precedenti al delitto: la tesi è che l’estromissione dalla cooperativa di famiglia di Mimmo Nardelli non poteva essere il movente che avrebbe armato su decisione di Tiziano e Paolo, il ventenne Aldo Cristian. Per il difensore, infatti, la costituzione della cooperativa era un atto di amore di Tiziano nei confronti del fratello che peraltro non aveva alcun diritto giuridico sulla stessa, ma a cui il suo assistito aveva persino lasciato «carta bianca» nella gestione della coop. Una «mala gestione», quella di Cosimo Nardelli che aveva preoccupato e non poco suo fratello, stanco di vedere sperperare il denaro della cooperativa poi sciolta nel marzo del 2023.Il difensore ha poi sostenuto che il vero mandante di quel delitto è stato proprio Paolo Vuto che con la vittima aveva avuto un incontro armato in strada due giorni prima dell’omicidio: un confronto che aveva «leso la dignità criminale di Vuto». Ma anche l’avvertimento che la vittima aveva mandato a Paolo Vuto, con una foto che lo ritraeva con un fucile a canne mozze puntato sotto il proprio mento. Una minaccia rivolta perché la Cosimo non tollerava più l’ingerenza del 44enne nelle questioni di famiglia. Una sfida raccolta infine da Paolo Vuto che quando ha «raggiunto la certezza che Cosimo Nardelli, il killer più pericoloso di Taranto volesse ucciderlo» ha infine preso la decisione di farlo ammazzare.Ma quei conflitti personali criminali tra i due uomini, per il difensore, erano stati alimentati da Thomas, figlio di Mimmo, che aveva chiamato in un’occasione il 44enne suggerendo di pagare qualcuno per fare arrestare il padre: sarebbe stato proprio il figlio di Nardelli a istigarlo, dicendo che suo padre lo stava cercando andando in giro con una pistola nell’auto e dando infine la spinta alla decisione di Vuto di far eliminare Cosimo Nardelli.
Nei mesi di intercettazioni Tiziano Nardelli, secondo il suo legale, non aveva mia espresso alcuna intenzione di eliminare il familiare, ma aveva commesso il solo errore di «esprimere disappunto e preoccupazione per il fratello, sottovalutando la portata del rapporto con gli altri imputati». Quelle conversazioni intercorse tra Paolo e Tiziano, sulle quali i due pubblici ministeri Milto Stefano De Nozza della Direzione distrettuale Antimafia di Lecce e Francesco Sansobrino della procura di Taranto hanno montato gran parte dell’impianto accusatorio, non provano infatti per la difesa la «volontà granitica di uccidere».
Nella scorsa udienza la pubblica accusa ha chiesto l’ergastolo per Tiziano e Paolo Vuto, difeso dall’avvocato Fabrizio Lamanna. Mentre è di 28 e 26 anni di carcere la pena espressa per Aldo e Francesco, assistiti dagli avvocati Andrea e Salvatore Maggio.Nella prossima udienza, dinanzi alla corte d'assise presieduta dal giudice Filippo Di Todaro, a latere Loredana Galasso, la parola passerà agli altri avvocati del collegio difensivo.