TARANTO - È di 16 anni di carcere la richiesta dei pm Stefano Milto De Nozza, della Dda di Lecce e di Francesco Sansobrino, della procura ionica, per Kasli Ramazan, 23enne accusato del tentato omicidio di Cristian Troia avvenuto la notte tra il 12 e il 13 aprile 2023 in via San Pio XII. Al termine della requisitoria, l’accusa ha inoltre chiesto anche una pena a 1 anno e 10 mesi per Giada Vuto accusata di detenzione e ricettazione dell’arma da fuoco utilizzata per l’omicidio di Mimmo Nardelli avvenuto il 23 maggio dello stesso anno.
I difensori dei due imputati, che hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato, hanno invece chiesto l’assoluzione: per gli avvocati Daniele Lombardi e Andrea Maggio non ci sono prove sufficienti per dimostrare la colpevolezza.
L’agguato a Troia, per gli investigatori, era maturato quando Paolo Vuto, ritenuto a capo dell’omonimo clan, aveva scoperto le chat tra Troia e la ex fidanzata di suo figlio ordinando a quest’ultimo, Aldo Cristian Vuto, e a Ramazan di punire quel ragazzo: quella sera, secondo l’accusa, i due a volto scoperto hanno raggiunto il giovane e Aldo Cristian (che sarà giudicato con rito ordinario) ha esploso due colpi di pistola: il primo ha raggiunto la vittima alla coscia e il secondo, esploso per gli inquirenti ad altezza d’uomo, ha mancato il bersaglio.
Dalle intercettazioni erano emerse le fasi preparatorie di quell’agguato. «Tu stai dicendo che io non vado in galera per una femmina no? Ma l’onore e la dignità dove la teniamo?» spiegava Paolo Vuto al figlio e al nipote Francesco Vuto che tuttavia aveva perplessità: «io non è che devo andare in galera per una femmina» provava a ribattere ignaro di essere ascoltato dai poliziotti della Squadra mobile. Ma per il capo famiglia c’è ben altro in gioco: «Ma qua non si tratta per una femmina … può essere pure una tazza di caffè, è una questione di rispetto». Una sentenza senza appello, insomma, per un gesto che aveva sfregiato il prestigio criminale del gruppo e andava punito col sangue. Una lezione indimenticabile che tutti possano decodificare: «Perché – spiega Paolo - le mazzate passano, gli ho detto “No! deve essere una cosa esemplare. Devono capire tutti quanti che se ne devono stare lontano da te se no prendono i colpi. Chiuso».
I pm De Nozza e Sansobrino scrivono nelle carte dell’inchiesta che il capo del gruppo tarantino è consapevole dell’alto «valore criminale della decisione di sparare». Non solo. In quei giorni di aprile, il clan sta vivendo un momento particolare: «dopo gli arresti eseguiti ai danni della famiglia Pascali con l’operazione “Summa”, aveva iniziato una scalata personale nel contesto criminale tarantino». E l’affermazione per un clan passa soprattutto attraverso le dimostrazioni di forza.
Ora però l’accusa ha chiesto il conto e sarà la corte d’assise, presieduta dal giudice Filippo Di Todaro a decidere sulla vicenda.