TARANTO - Come dimostrano in maniera eloquente le cronache di questi giorni, fatti di assemblee societarie convocate, aperte e aggiornate, il quindicesimo decreto salva-Ilva, proposto dal ministro Fitto, divenuto da qualche mese dominus del dossier, e varato dal governo Meloni, non ha tenuto in nessun conto le aspettative dei tarantini dei pugliesi più in generale. Si sta rivelando, di fatto, ancora una volta non risolutivo perché calibrato sulla contingenza e non sulla prospettiva.
Avendo quasi completamente adempiuto alle prescrizioni contenute nel piano ambientale varato nel settembre 2017 dall’allora premier Gentiloni, piano contenente misure in realtà già previste nell’Autorizzazione integrata ambientale riesaminata nell’ottobre 2012, pochi mesi dopo il sequestro dell’area a caldo e all’arresto di proprietari e dirigenti, lo stabilimento siderurgico di Taranto può dirsi acciaieria a ciclo integrale fedele alle Bat, ovvero alle migliori tecnologie disponibili per contenere le emissioni inquinanti. Non può dirsi, però, fabbrica green giacché il ciclo integrale – dal minerale di ferro al coils – tutto è (consente un altissimo valore aggiunto, tanto per iniziare) tranne che green per il largo uso di carbone che contempla, uso del carbone che fa dell’ex Ilva una fabbrica non decarbonizzata...
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