TARANTO - Imprenditoria e criminalità, a Taranto, si incontrano spesso. Una zona grigia in cui interessi, affari e protezioni reciproche si intrecciano. Ed è anche su questo che l'inchiesta «Focus», che ieri ha portato in carcere sei persone, ha acceso i riflettori. In cella sono finiti Giulio Verdolino, i fratelli Stefano e Francesco Depane, la madre di questi Enza D'Arcangelo, e infine Cosimo Giodetti e Nicola Insito. Disposto invece l’obbligo di firma per Daniela D’Amato.
L'inchiesta ruota intorno all'imprenditore Verdolino, uno dei titolari della società «Tris Auto» ritenuto il mandante degli incendi che a distanza di pochi giorni hanno colpito tra gennaio e febbraio 2022 il gruppo Ventriglia: il 31 gennaio e il 2 febbraio 2022, all’interno del parcheggio della concessionaria Ventriglia Group e nelle adiacenze dell’abitazione del titolare, i roghi avevano distrutto 4 autovetture di alta gamma, danneggiando altri veicoli e le facciate degli edifici. L’indagine della Squadra Mobile di Taranto guidata dal vice questore Cosimo Romano e coordinata dai pubblici ministeri Maria Grazia Anastasia e Francesco Ciardo ha permesso di concentrare l’attenzione su Giodetti e Insito, ritenuti gli autori materiali dell'incendio: le intercettazioni, inoltre, hanno consentito di individuare in Stefano Depane l'organizzatore delle intimidazioni e infine di arrivare a Verdolino, il mandante che aveva, per l'accusa, una serie di motivi di astio e risentimento nei confronti di Ventriglia.
Ma l'indagine ha consentito anche di ricostruire in dettaglio la figura dell'imprenditore spregiudicato che vantava amicizie tra diverse anime della criminalità ionica. È proprio lui, ignaro di essere ascoltato dagli investigatori che racconta i suoi legami con la famiglia Cesario di Paolo Vi e altri esponenti della mala ionica. Non solo. Nelle conversazioni captate dai poliziotti spuntano infatti le «vanterie» fatte a proposito di conoscenze con membri delle forze dell'ordine. Rapporti che in passato avrebbero consentito a Verdolino di scoprire le indagini avviate nei suoi confronti attraverso microspie piazzate nell'auto che pochi giorni dopo l'installazione, quasi misteriosamente, viene prestata agli amici e poi rivenduta.
«Verdolino – scrive il gip Francesco Maccagnano nelle 120 pagine di ordinanza – grazie alla collaborazione di soggetti criminali ai quali si accompagna, è in grado di approvvigionarsi di armi, di appiccare incendi, di intimorire i suoi concorrenti». Inoltre «la particolare pericolosità del Verodolino – ha aggiunto il magistrato – può cogliersi anche dalla sua propensione a intrattenere rapporti di connivenza con le forze dell'ordine, nel tentativo di guadagnarsi una sorta di immunità da eventuali controlli o investigazioni».
Nella conferenza stampa durante la quale sono stati illustrati i dettagli dell'operazione, è stato il procuratore della Repubblica Eugenia Pontassuglia ha evidenziare proprio questi aspetti: «Non può esserci alcuna zona zona d'ombra e siamo qui proprio perché sia chiaro che non è tollerata lacuna vicinanza tra lo Stato e l'illegalità». Non ci sono al momento indagati tra le forze dell'ordine: non sono stati trovati elementi per sostenere in modo sicuro un'accusa, ma per la prima volta il procuratore Pontassuglia ha preso parte a una conferenza stampa proprio per sottolineare come questa operazione rappresenti un'importante passo in avanti nella lotta non solo alla delinquenza, ma anche a quella parte della città e della provincia che pensa di poter contare su appoggi anche istituzionali per sfuggire alle maglie della giustizia. Rivolgendosi al Questore Massimo Gambino, il procuratore ha rivolto il suo plauso per il lavoro compiuto dalle donne e dagli uomini della Squadra Mobile «in contesto difficile di connivenza.
Un gruppo di persone – ha detto il capo degli inquirenti - che ha lavorato gomito a gomito con la procura e grazie a un'interazione continua e a una meticolosa attività di indagine ha capito che la zona grigia è già diventata nera». Il riferimento è alla decisione del giudice Maccagnano di inviare gli atti all'Antimafia di Lecce: Verdolino, infatti, avrebbe anche avvicinato un altro imprenditore per convincerlo a rinunciare a un locale che interessava al figlio del boss Cesario. È «mafia silente» ha detto Pontassuglia. Criminalità che non ha più bisogno di fare rumore perché basta il nome a fare paura.