TARANTO - Amara sorpresa per i lavoratori del Siderurgico (e non solo) che avevano chiesto di accedere ai benefici per l'esposizione all'amianto e che nell'arco temporale di riferimento erano stati collocati in cassa integrazione per alcuni periodi. Diverse pratiche sono state infatti congelate. L'Inps di Taranto, secondo quanto apprende la Gazzetta, ha chiesto un confronto al comitato regionale e nazionale di vigilanza per una puntuale valutazione della procedura. Quesito rivolto da tempo anche al Ministero del Lavoro. Si ritiene opportuna una discussione su queste problematiche, considerato - spiega in una nota interna il presidente del Comitato provinciale Mario Fraccascia - che «il territorio, in ragione della presenza dell'ex Ilva, presenta ancora una discreta incidenza dell’esposizione amianto sui luoghi di lavoro, nonché recependo le sollecitazioni dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (Fim, Fiom e Uilm) circa la corretta interpretazione del principio dell’effettiva esposizione sul quale la Giurisprudenza esprime valutazioni contrastanti che rendono difficoltoso l’iter amministrativo» in merito all'applicazione della legge 257/92.
Cosa è accaduto in sostanza? I benefici di esposizione all'amianto sono stati riconosciuti per attività lavorativa svolta fino al 2003 con cinque anni di anticipo pensione su dieci anni di esposizione. Diversi lavoratori (di Ilva, come dell'ex Italsider o ex Belleli o provenienti da ditte d’appalto), nel presentare domanda di pensione o chiedendo la certificazione dei contributi, hanno scoperto che i periodi lunghi di cassa integrazione venivano estromessi, facendo saltare in alcuni casi il diritto ad avere quei benefici. La questione, dopo i solleciti dei sindacati, dovrà essere valutata in sede nazionale Inps. Alcuni lavoratori erano già andati in pensione, convinti di aver raggiunto i requisiti e ora si ritrovano «esodati». Se non vengono riconosciuti i benefici, chiaramente non si ha più il diritto alla pensione anticipata. È una situazione molto complicata che riguarda diversi lavoratori.
C’è ancora un problema amianto all'interno dell’ex Ilva. Migliaia di tonnellate da smaltire entro il 23 agosto 2023, secondo quanto previsto dal piano ambientale. I sindacati invocano chiarezza sul rispetto del cronoprogramma, ricordando che l'ultima mappatura parlava di «oltre 3750 tonnellate di amianto, di cui il 93% risulta di matrice friabile» (oltre alle 1750 tonnellate già smaltite dalla gestione commissariale). Una potenziale criticità sia in riferimento al rischio ambientale sia in riferimento al rischio di esposizione dei lavoratori, anche se sono giunte rassicurazioni sui controlli da parte dello Spesal (Servizio di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro) dell'Asl e dell’Arpa. I controlli, anche con rilievi di aerodispersione sugli impianti, avvengono secondo il protocollo di sicurezza. Ci sono fibre di amianto incapsulate dentro la lamiera di alcuni impianti. Per gli enti ispettivi non c’è - non dovrebbe esserci - rischio che vengano inalate dai lavoratori. Sulla tabella di marcia dello smaltimento ci sarebbero dei ritardi. In più occasioni i sindacati hanno chiesto di effettuare un'ispezione volta all'accertamento della presenza di materiali contenenti amianto, nonché alla valutazione del relativo stato di conservazione e all'esecuzione di campionamenti d'aria per la determinazione della quantità di fibre aerodisperse e la successiva valutazione del rischio sanitario.
Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sull’amianto a Taranto sono stati registrati 600 casi di mesotelioma nel periodo dal 1993 al novembre 2021. Complessivamente in Puglia, nello stesso periodo, sono stati censiti 1.600 casi di mesotelioma – 1.191 fino al 2015 – e di questi il 40% soltanto a Taranto. L’associazione ha ribadito la necessità e l’urgenza di bonificare lo stabilimento e di disinquinare, considerando peraltro che le malattie asbesto-correlate sono lungolatenti.