I migranti salvati nel Mediterraneo e l’assistenza prestata a Codogno, nel primo focolaio Covid d’Italia. Se questo è il tratto comune che lega due sfere della sofferenza, le tappe sono state altre.
Lasciato il porto di Messina, ritorna per poco più di un giorno nella sua casa di Taranto e poi parte immediatamente verso gli ospedali della Lodigiana. Gennaro, ricomincia da qui con il logo sul camice di Medici senza frontiere. «Quando l’organizzazione di Msf mi ha chiesto di ripartire subito per aiutare medici e infermieri negli ospedali di Lodi e Codogno, ho accettato senza pensarci due volte. Ho sempre aiutato - racconta alla Gazzetta il 29enne tarantino Gennaro Giudetti - i Paesi più poveri del mondo e ho agito nei vari... Sud del pianeta, ma non potevo certo ignorare la richiesta che giungeva dal mio Paese. Certo, per la prima volta, ho aiutato chi sta al Nord e, peraltro, in una tra le zone più prduttive d’Europa ma quelle persone erano in difficoltà e non potevo tirarmi indietro». E Gennaro Giudetti non l’ha fatto.
Per circa un mese e mezzo, insieme ad altri operatori di Msf, infatti, è stato nei due ospedali maggiormente colpiti dall’emergenza Coronavirus (Codogno e Lodi) in qualità di tecnico per la prevenzione e il controllo dell’infezione. «Ho fornito a medici, infermieri, tecnici di laboratorio, impiegati amministrativi e a tutte le persone che entravano in quegli ospedali - spiega il 29enne tarantino - tutte le indicazioni utili per fare in modo che il virus non uscisse all’esterno delle due strutture sanitarie. In questo senso - aggiunge - abbiamo creato una zona cuscinetto prima di entrare nei reparti in cui c’erano i pazienti Covid e poi una zona di decontaminazione in cui, a fine turno, tutto il personale che era stato a stretto contatto con i pazienti affetti da Covid - 19 veniva aiutato (da me e da altri operatori di Medici senza frontiere) a togliersi con le giuste procedure i camici, i guanti, le mascherine e tutti gli altri dispositivi di protezione che erano stati utilizzati durante il giorno nei reparti. Per esempio, ho dato anche le indicazioni utili per spostare nel migliore dei modi i carrelli usati solitamente per trasportare i medicinali o il cibo per le persone ricoverate». E questi percorsi, queste lente procedure da seguire con attenzione, Giudetti le ha imparate sul campo. Lontano da qui. In Africa centrale. «A cavallo tra il 2018 e il 2019, sono stato in Congo - ricorda - e lì ho fronteggiato, in un centro specializzato, l’emergenza Ebola che, per 19 mesi, ha sconvolto quello Stato.
Quelle tecniche di prevenzione le ho acquisite proprio lì anche perché per ridurre i rischi di contagio dell’Ebola, bisogna prestare ancora più attenzione rispetto al Covid visto che non si trasmette solo con le vie respiratorie, ma anche con il contatto della pelle».
Quella del Congo, è stata solo una delle tante tappe che il giovane cooperante tarantino ha toccato da quando ha scelto di aiutare gli angoli del mondo in cui la sofferenza è più atroce. «Sono stato in Kenya, Niger e, ancor prima, in Albania, Colombia, Palestina e in Libano. Dove c’è, ovunque sia, un popolo che ha bisogno di aiuto, io sto lì. Per questo, quando è esplosa in Italia l’emergenza Covid e qualcuno ha chiesto dove fossero le Ong accusandoci di pensare solo ai migranti, ho amaramente sorriso. Ero, eravamo, già - afferma Giudetti - a dare il nostro aiuto in silenzio negli ospedali di Lodi e Codogno e non certo in un salotto televisivo».
Il suo compito è finita da appena qualche giorno. Ma Gennaro non si ferma. Ora, si trova nelle Marche per iniziare un altro progetto umanitario. Ma un segno (indelebile) dell’esperienza lombarda lo porta e lo porterà con sé. Cosa? L’accompagna ancora oggi quella mesta colonna sonora composta dalle assordanti e incessanti note delle sirene delle ambulanze che entravano negli ospedali di Lodi e Codogno. «Sento ancora quelle sirene nelle orecchie. Le ambulanze - assicura - arrivavano in continuazione. In continuazione...».
E se nelle orecchie ha quel frastuono, negli occhi di Gennaro Giudetti ci sono invece le immagini dei salvataggi fatti, in piena notte, in mezzo alle onde del Mediterraneo con la Sea Watch. Ci sono gli abbracci di chi è riuscito a salvare e le urla disperate di chi sta annegando tra le onde a pochi metri da lui. «Tutte queste mie esperienze - riflette Giudetti - hanno in comune la sofferenza delle persone. Che ha varie forme e luoghi diversi. Oggi può ritrovarsi in un ospedale lombardo e coinvolgere i malati di Covid, domani i migranti che rischiano di morire in mare. Vorrei tanto che, quando tutto questo finirà, nel nostro Paese se ne ricordassero tutti».