In gergo si chiama Pantano (Slough House), ed è una specie di purgatorio per quelli che non ce l’anno fatta e sono considerati falliti dagli agenti del MI5 (l’intelligence che si occupa di terrorismo e sicurezza interna del Regno Unito). Invece i «cavalli lenti» del titolo fanno il lavoro sporco, salvano vite e rischiano le loro, insomma sono sempre in prima fila. Parte alla grande anche la terza stagione di Slow Horses, (su Apple tv+ dal 29 novembre) con Jackson Lamb (Gary Oldman) che guida sempre con genialità, nonostante l’apparenza (è grasso, puzza, fuma e beve troppo) il gruppo di brocchi finiti da lui per ragioni diverse.
Dopo aver sventato il sequestro di un ragazzino pakistano da parte di estremisti inglesi, bloccato una potenziale minaccia mondiale la squadra di Lamb si trova invischiata in una trappola estremamente ben congegnata. Il preambolo avviene a Istanbul, due spie che si amano, una cede, l’altra sopravvive. Il tema infatti è il tradimento, quello di chi crede nella missione, di essere dalla parte giusta, e si trova invece di fronte alla morte. È il filo conduttore di tutte le puntate, che incominciano con un primo colpo di scena che coinvolge il Pantano, l’inaspettato rapimento di uno di loro, anche se poi il bersaglio è un altro e l’atletico River Cartwright (Jack Lowden), quasi ci lascia la pelle. Una trama assai intricata che coinvolge i vertici del MI5 e minaccia pesantemente Diana Taverner (Kristin Scott Thomas) nel suo ruolo del numero due dei servizi. Una conferma della qualità del prodotto che ancora una volta unisce all’azione, la magnifica recitazione di Oldman and co. e un’ottima sceneggiatura ispirata ai romanzi di Mick Herron.