Da bambina volevo Barbie Sirena. La guardavo in pubblicità protendendomi verso la televisione ogni volta che si parlava di lei, la ammiravo nelle vetrine dei negozi lasciando impressa l’impronta del mio naso, adoravo quei capelli lunghi e biondi con le conchiglie come fermagli e quella coda, cangiante e lucida, da infilare sulle gambe. Era donna ed era mitologia, era terra ed era acqua, era come le altre eppure diversa.
Non avevo il coraggio di chiederla in regalo ai miei perché sapevo già come sarebbe andata a finire. Ma loro lo avevano capito da soli, che io quella bambola la amavo.
Così in un Natale di moltissimi anni fa, me l’hanno regalata.
Mentre la scartavo e la guardavo apparire tra le mie mani, strappo dopo strappo, mi veniva da piangere sia perché la adoravo e non potevo crede di essere finalmente al suo cospetto, ma soprattutto perché sapevo già come sarebbe andata a finire.
Sapevo già che mi piaceva così tanto che avrei finito con il ferire i sentimenti dei miei genitori, perché avrei fatto come mio solito.
E infatti così feci: non ci giocai mai.
La guardavo, e basta. E lasciavo forse intendere che non mi piacesse, che non mi interessasse, mentre invece volevo solo proteggerla.
Vi auguro di non aver paura di sciupare le cose.
Vi auguro giorni da usare, da stropicciare, da consumare, da vivere con chi amate.
Vi auguro di seguire una stella, quando la notte più lunga dell’anno ci ha da poco lasciati e piano piano ogni giorno il sole si ferma un po’ di più. Luce dona alle menti, pace infondi nei cuor. Vi auguro di cantare. Le bambole nelle scatole non servono a niente e le conchiglie nei capelli si possono anche perdere, saranno utili a qualcun altro quando, per caso, le raccoglierà. Vi auguro di mettervi in gioco.
Vi auguro di festeggiare una nascita, senza temere l’erosione, il declino, il destino. Buon Natale.
