«Quel poco che so della morale l’ho appreso sui campi di calcio e le scene di teatro, le mie vere Università». Lo diceva lo scrittore francese Camus, amante tanto delle scene quanto dei novanta minuti e, con essi, di tutto ciò che ruota intorno: sudore, lacrime, sangue, allenamenti, amicizia. Ci sono Francia e Marocco in questa declinazione foggiana dei mondiali che hanno fatto battere il cuore a due comunità di casa nostra. La prima a tifare per «Les Bleus» è Celle di San Vito: giorni fa si è vista rispecchiata su Rai Tre quale «squadra emigrante» che si sta facendo onore nel campionato campano. Ma non finisce certo qui. Da sempre a Celle si parla il franco-provenzale e lì, su quella rocciosa montagna, tutti sognano la visita di Emmanuel Macron e di sua moglie Brigitte. Una lettera di qualche tempo fa non esclude affatto la visita del Presidente francese: insomma, il fascino della lingua, l’onore sui campi di calcio del Celle quarto in classifica – ha anteposto anche un Real al suo nome – la finalissima dei Mondiali e la speranza di vedere passeggiare Macron per le strade del centro sono circostanze ben più che simboliche per far sventolare, oggi, bandiere francesi dai balconi.
Dove non riescono le nazioni ad amarsi – il gelo divide le squadre nazionali che da sempre si detestano cordialmente – la spuntano le piccole comunità, in grado di incarnare i sani principi di quell’amicizia professata da Camus e posta in gioco sul verde. E una piccola comunità è anche quella del Marocco che abbiamo visto in festa qualche giorno fa: squadra accorsata, l’ha spuntata su grandi rivali come Davide su Golia. Per noi foggiani è stato uno spettacolo vedere piazza Cavour in festa con questa collettività numericamente forte a Foggia e in provincia, a sostegno del fatto che con l’umiltà, la testa bassa e il lavoro di muscoli e cuore, la vittoria arriva, arride e sorride. Anche i foggiani si sono uniti a questa comunità, loro che dalla A alla D hanno visto discese ardite e risalite della squadra nel corso dei decenni. Basterebbe solo questo per affratellare popoli diversi in una convivenza pacifica. E aveva ragione Camus nel ritenere il calcio una scuola di vita: giocava in porta lo scrittore, e da esso aveva tratto una lezione di grande portata: «Ho capito subito che la palla non arriva mai da dove te l’aspetti». Parare i colpi, è il caso di dire. Sul verde come nella vita, nelle piccole e nelle grandi squadre. Come il pallone, la vita fa giravolte imperscrutabili.