L’alito della Morte soffiò sulla Vita spegnendola. In un giorno plumbeo, nel mese in cui il dolore e la memoria della perdita dei cari, inevitabilmente, bussano alla porta di ciascuno. Di colpo sette. E questo si fa fatica ad accettare. Immaginiamo i due bambini sloveni guardare dall’alto come se fossero su una ruota panoramica sotto gli occhi divertiti dei genitori, a loro volta a contemplare quella natura bella e selvaggia; immaginiamo anche il medico, forse stanco del turno, poggiarsi sul finestrino a rivedere un panorama a lui notissimo. E i due valenti, attenti ed esperti piloti fare quel tratto di strada fendendo un cielo che di lì a poco sarebbe stato assassino. È lo strazio della caducità che così magistralmente la tragedia antica ha sintetizzato nel mettere l’uomo di fronte al proprio destino, spesso inaccettabile e ingiusto.
Per non dire della «morte giovane», quella che lo scrittore greco Menandro definì cara agli dei per sottrarla alla tragedia immettendola in una dimensione più lirica e accettabile. In questo stesso mese – potenza delle evocazioni – Foggia assistette alla più grande tragedia della sua storia dopo la seconda guerra mondiale: come una torta venuta male, il palazzo di Viale Giotto si afflosciò su se stesso inghiottendo 67 persone. Alcuni rapiti nel sonno; molti altri in grado di realizzare che la pietà si stava girando dall’altra parte. Roberto Alajmo ha scritto anni fa nel suo Notizia del disastro – al centro della narrazione la tragedia del volo Roma-Palermo del 23 dicembre 1978 – che «la nostra essenza di creature moderne non è attrezzata per accettare il volere del fato».
Nulla di più vero, soprattutto se, scrive ancora, «ci pare inaudito che dietro qualsiasi evento luttuoso possa esserci solo lo stesso decrepito destino che presiedeva all’esistenza degli Antichi. Illuminati dai fari del progresso, pensiamo di poter controllare ogni variabile della nostra sorte». Oggi e lunedì Foggia rispetterà con un lutto cittadino queste vite incappate nelle maglie di un destino crudele. Lo farà con la stessa compostezza di 23 anni fa quando la morte di 67 foggiani fu la morte di un pezzo di noi dentro, con quelle bare a sfilare in città sui carri militari e su cui un assai commosso Presidente Carlo Azeglio Ciampi portò il suo abbraccio per farci sentire meno soli e storditi in quel disagio psichico collettivo di così vasta portata. Sit tibi terra levis, scriveva Marziale. Che la terra vi sia lieve.