Il consorzio di Bari, Terre d’Apulia, tecnicamente in dissesto da 12 anni, ha ad esempio redatto l’ultimo bilancio nel 2006: da allora fornisce alla Regione («Con il loro pieno accordo», fa sapere il commissario Giuseppe Cavallo) soltanto un resoconto. Nel bilancio del consorzio di Ugento, invece, non è valutato l’impatto del contenzioso (che potrebbe valere anche 10-20 milioni). E soprattutto, c’è un equivoco di fondo che nessuno intende sciogliere: i consorzi ritengono infatti che i 187 milioni di anticipazioni regionali vadano considerati a fondo perduto, e dunque considerano il debito pari a «soli» 200 milioni. La Regione la vede diversamente: non può permettersi di accollarsi, oggi, una perdita secca di 120-130 milioni (le somme iscritte come partita di giro).
E tutto questo avviene mentre è scattato un conto alla rovescia inesorabile. Dal 1° luglio, infatti, i quattro consorzi in crisi (non quelli del Foggiano) non avranno più le risorse per pagare gli stipendi. Non solo per i 650 dipendenti a tempo indeterminato, che costano circa 22 milioni, ma nemmeno (soprattutto) per gli operai a tempo che garantiscono la stagione irrigua. Il combinato disposto della crisi e dei vincoli del patto di stabilità, peraltro, metterà i consorzi di fronte a un dilemma: tagliare gli stagionali oppure ridurre il numero di impianti attivi.
È a questo problema che la Regione dovrà dare una risposta immediata. E l’unica risposta sono i soldi: per arrivare a fine anno servono almeno 15 milioni di euro, sempre che - ma dubitarne è lecito - i ruoli di contribuzione possano ripartire in tempo per l’inizio del 2012.
Già, i ruoli. Dal 2003 a oggi i consorzi hanno rinunciato ad incassare circa 187 milioni, perché una legge regionale ha disposto il congelamento delle cartelle. Basta leggere un po’ di carte per rendersi conto che le colpe della politica sono tutte lì. Perché furono sospesi? Perché in alcune province, Lecce ma soprattutto Brindisi, i consorzi dettero attuazione alla nuova legge quadro e cominciarono a inviare le cartelle non solo agli agricoltori ma anche ai proprietari di immobili oggetto di «benefici»: una bonifica, la pulizia dei canali... Una prassi che è normale in tutta Italia, ma che in Puglia provocò proteste anche perché i piani di classifica (dicono chi deve pagare, e quanto) contenevano errori. Proteste cavalcate dalla politica - qualcuno, vedi il senatore Antonio Gaglione, arrivò a mettersi alla testa dei trattori - che portarono alla sospensione dei ruoli in attesa della revisione dei piani.
Sono passati 8 anni, la revisione non è stata mai fatta (il Veneto ha avuto lo stesso problema: l’ha risolto in 6 mesi), sono arrivati commissariamenti che in punta di diritto sono illegittimi: la stessa legge regionale, infatti, dispone che abbiano un termine preciso. E soprattutto i consorzi hanno accumulato una valanga impressionante di debiti.
Debiti con le banche: la sola Unicredit è esposta con Terre d’Apulia per oltre 4 milioni. Debiti con i fornitori: un consorzio ha dovuto aprire un secondo sito web perché il gestore del primo, stanco di aspettare, gli ha cambiato le password. Con gli appaltatori: una buona metà del «rosso» è dovuto a mancati pagamenti nei confronti di imprese, innescando un meccanismo perverso. Siccome i consorzi sono sommersi da decreti ingiuntivi, accade(va) che al primo stato di avanzamento lavori i soldi venivano pignorati dal giudice bloccando il cantiere e creando altro contenzioso.
Certo, ci sono anche gli sprechi. E che sprechi. La Puglia è l’unica regione d’Italia in cui le competenze sull’irrigazione sono duplicate: un’agenzia regionale, l’Arif, ha quasi 1.000 dipendenti. Servono davvero? Non si capisce bene. Si sa solo che, allo scioglimento dell’Ente irrigazione, i consorzi del Salento non vollero accollarsi gli operai: costavano troppo. Allora, per evitare barricate in via Capruzzi furono dati in carico a Terre d’Apulia, che si trovò a gestire (da Bari) impianti a 150 km di distanza. Molte di quelle persone sono andate in pensione, ma ne sono state assunte altre. E così oggi un contadino della Bat non sa a chi deve rivolgersi: metà degli impianti è gestita dai consorzi, metà della Regione. Ed agli operai Arif - per dire - da qualche mese viene pure applicato il contratto collettivo delle Regioni, invece che quello dei forestali. Stabilizzazioni fantasma: il paragone fatto da Nichi Vendola con la sanità era dunque azzeccatissimo, e non solo per i debiti.