Sabato 06 Settembre 2025 | 11:28

Tartarughe marine a rischio: in Puglia è boom di salvataggi

 
Gianpaolo Balsamo

Reporter:

Gianpaolo Balsamo

Oggi si celebra la Giornata mondiale delle tartarughe marine

Quest’anno 500 sono state rimesse in libertà. L’ultima sarà Natalina. Tante però le carcasse

Mercoledì 11 Dicembre 2024, 08:49

L’ultima ad essere liberata, il prossimo 22 dicembre, sarà Natalina, un rarissimo esemplare di Tartaruga Verde, scientificamente nota come «Chelonia mydas», molto rara nel mar Adriatico, che nei giorni scorsi era finita accidentalmente nelle reti di alcuni pescatori di Molfetta solerti ad affidarla subito alle cure del Centro recupero tartarughe marine Wwf Molfetta e del Dipartimento di Medicina veterinaria di Bari. Natalina, che potrà tornare finalmente a nuotare libera nel suo habitat naturale, è una delle oltre 500 tartarughe marine (fortunatamente vive) che durante il 2024 sono state recuperate, salvate e rimesse in libertà lungo le coste pugliesi.

«Oltre la metà di questi esemplari quest’anno sono stati recuperati dal Centro recupero tartarughe marine del Wwf di Molfetta», spiega il suo coordinatore Pasquale Salvemini, vera e propria anima di questo Centro diventato ormai fiore all’occhiello per quanto riguarda il recupero delle tartarughe, il loro trattamento e cura sino alla liberazione in mare aperto.

In Puglia, oltre alla struttura di Molfetta ci sono altri tre Centri (a Calimera, a Torre Guaceto e Manfredonia oltre al Centro recuperi di Policoro che che operativo su una parte della costa jonica) diventati ormai punti di riferimento sull’intera regione e soprattutto per l’intero Adriatico per la salvaguardia di questi rettili e anche di molti altri animali selvatici.

«Il centro recupero tartarughe marine Wwf di Molfetta - continua Pasquale Salvemini - opera da oltre 20 anni consolidando un’ottima collaborazione con le marinerie locali, in particolar modo con Molfetta, Bisceglie e Trani. In questi anni abbiamo recuperato circa 10 mila tartarughe grazie alle segnalazioni di tanti pescatori che hanno dimostrato un ammirevole spirito ambientalistico».

«Durante le uscite di pesca con le loro imbarcazioni, si ritrovano le tartarughe nelle reti: la loro prima azione è quella di mettere al sicuro l'animale e di contattare il sottoscritto», continua l’amico delle tartarughe come oramai viene chiamato Pasquale Salvemini.

Purtroppo, quest’anno è cresciuto anche il numero degli esemplari di tartarughe (oltre 250) spiaggiate prive di vita sul tratto costiero tra Bari-BAT. «Molte di loro muoiono perché finiscono in qualche rete da posta o in reti a strascico. A tal riguardo - spiega Salvemini - bisogna lavorare molto, non solo in Puglia, per cambiare questa triste ed assurda strage».

Spesso le carcasse spiaggiate sono sono soprattutto esemplari di «Caretta caretta» (la tartaruga marina più comune, diffusa in molti mari del mondo, ma fortemente a rischio estinzione in tutto il bacino del mare Mediterraneo) che giungono a riva spinti da una combinazione di vento e correnti marine.

In ogni caso spetta ai veterinari ad accertare le cause della morte anche se, nella maggior parte dei casi, è difficile risalire alle effettive cause dei decessi, dato l'avanzato stato di decomposizione delle carcasse.

«Quando i pescatori trovano tartarughe impigliate nelle reti o già morte per asfissia da annegamento - spiega Salvemini -, le rigettano in mare e le correnti le spingono sino a spiaggiarle. Noi ci limitiamo a effettuare le verifiche per elaborare i dati».

Per gli esperti del Centro recupero Wwf di Molfetta, la principale causa di morte delle tartarughe marine è rappresentata dalla cattura accidentale con attrezzi da pesca, come reti a strascico, palangari e reti da posta (si tratta di reti fisse, radenti la costa lunghe cinque chilometri nelle quali le testuggini si vanno a infilare) ma anche dalle collisioni con le imbarcazioni.

Ma all’origine del triste fenomeno della moria di tartarughe marine c’è anche l’inquinamento da plastiche e microplastica. «Le tartarughe marine li scambiano per meduse, e quando li ingeriscono è troppo tardi per accorgersi che sono invece sacchetti di plastica. Questa - rimarca Salvemini - è la sorte che finora è toccata a molti di questi rettili recuperati ormai privi di vita».

I fattori antropici, dunque, oltre a quelli ambientali e infettivi, sono all’origine di della lenta estinzione alla quale, purtroppo, sono condannati questi rettili antichissimi che popolano mari e oceani da milioni di anni.

«Purtroppo è così - conferma Pasquale Salvemini - Per questo continuo a ribadire che l’impegno di ciascun cittadino è fondamentale per garantire la sopravvivenza delle tartarughe marine e non solo. Non possiamo sempre aspettare che siano gli altri a fare. Per cominciare, possiamo evitare di gettare plastica o altri rifiuti in mare e, se ne troviamo, possiamo raccoglierli, portarli a riva e gettarli negli appositi contenitori. Un sacchetto di plastica o una bottiglia possono essere scambiati per cibo da delfini e tartarughe e causarne la morte, e in ogni caso la plastica non si scioglie, si spezzetta in microparticelle che, mescolate all’acqua, costituiscono un pericolo perenne. E questo è solo un esempio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)