BARI - Con i soldi di Pugliapromozione hanno fatto per anni la bella vita. Non solo viaggi in giro per il mondo, ma persino gli anticipi per l'acquisto di immobili e le attrezzature per un ristorante stellato a Crema. Sono le accuse nei confronti di quattro persone alla base dell'inchiesta dei finanzieri del Comando provinciale di Bari che hanno eseguito nelle province di Bari, Torino, Cremona e Lodi, un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di circa 400.000 euro, emesso dal gip Antonella Cafagna su richiesta del pm barese Baldo Pisani. L’operazione costituisce l’epilogo di un’indagine, che ha permesso di svelare un utilizzo rilevante di denaro pubblico per fini esclusivamente personali da parte dell'ex direttore generale e dirigente amministrativo di Pugliapromozione, Matteo Minchillo, di Foggia, deceduto nel 2023.
I destinatari del provvedimento cautelare sono i figli dell'ex dirigente, Michele, 31 anni, e Laura, 34 anni, entrambi di Foggia e residenti rispettivamente Crema e Torino, la moglie Sandra Garau, 65 anni, residente a Romanengo (Crema), oltre all'altro ex dirigente dell'ufficio pagamenti Vito Mastrorosa, 71 anni, di Polignano. Tutti figurano tra i destinatari del sequestro e sono tutti accusati di peculato, i due ex dirigenti e Matteo anche di falso ideologico, mentre Laura, il padre e la madre anche di ricettazione, riciclaggio, reimpiego di beni di provenienza illecita e autoriciclaggio. Minchillo avrebbe tra l'altro pagato con i soldi di Pugliapromozione le attrezzature per la cucina del ristorante Vitium del figlio Michele.
Gli approfondimenti condotti dal gruppo Anticorruzione del Nucleo Pef della Finanza guidato dal tenente colonnello Pasquale Pepe, consistiti nell’acquisizione ed esame di documenti, accertamenti bancari, informazioni da persone in grado di riferire circostanze utili, acquisizioni di dati e notizie mediante la consultazione delle banche dati e fonti aperte, avrebbero acquisito riscontri ritenuti "rilevanti ed univoci" in merito al presunto utilizzo anomalo e continuo di una carta di credito ricaricabile assegnata, per ragioni di ufficio, al dirigente pubblico. In particolare, la ricostruzione delle operazioni finanziarie, supportata dal raffronto con la documentazione amministrativa e contabile dell'ente pubblico, ha accertato le modalità con le quali il denaro pubblico, con il concorso dell’allora responsabile dell’ufficio pagamenti, sarebbe stato “dirottato” da un conto di tesoreria per eseguire ricariche su una carta di credito e, successivamente, utilizzato per effettuare prelevamenti diversi di denaro contante e sostenere spese di qualsiasi natura (dai viaggi all’acquisto di attrezzature per la ristorazione o il confezionamento degli alimenti a favore del figlio Michele), disattendendo quanto previsto dal Regolamento di contabilità e amministrativo dell’Agenzia e senza osservare alcuna procedura di verifica o rendicontazione della spesa.
L’esame degli estratti conto della carta di credito ha rilevato che le causali non facevano riferimento a determinazioni del direttore generale per liquidazione, come previsto, bensì a determine di impegno, che non avrebbero dato titolo per disporre pagamenti di somme e il cui richiamo, quindi, avrebbe rappresentato solo un espediente per dare una parvenza di regolarità al trasferimento dei fondi dal conto di tesoreria. Inoltre, gli oltre 160 mandati di pagamento oggetto d’indagine recavano le causali più varie (quali, ad esempio: fondo cassa, rimborso spese, compenso al direttore, premi assicurativi, traslochi, contributi a carico del personale, versamento per conto terzi, ecc…) ma, una volta accreditate, le provviste sarebbero state destinate ad altri utilizzi, evidenziando, secondo la Procura "una palese mancanza di collegamento tra le varie prestazioni oggetto di pagamento e le funzioni pubbliche istituzionali".
Sul punto, è emersa l’inesistenza di qualsiasi documento giustificativo delle spese sostenute e l’assenza, negli archivi informatici dell’Ente, dei riscontri necessari circa gli avvenuti pagamenti in conformità ai mandati. Le condotte illecite sarebbero quindi da inquadrare "in un vero e proprio 'metodo' - sostiene la Procura - adottato per anni, dal 2017 al 2021, dai due citati dipendenti pubblici, attraverso cui gli stessi avrebbero sistematicamente distratto denaro pubblico, di cui avevano il possesso per motivi inerenti al proprio ufficio, appropriandosene per finalità di natura esclusivamente personale". I riscontri investigativi avrebbero anche individuato diversi trasferimenti di fondi a favore dei familiari del principale indagato, poi deceduto, "i quali, nella consapevolezza della provenienza illecita del denaro, avrebbero contribuito a 'ripulire' le somme a loro accreditate, nonché a 'reimpiegare' i beni strumentali acquistati con i soldi pubblici nell’attività di ristorazione". Il gip, su richiesta della Procura, ha emesso il decreto di sequestro preventivo, da eseguirsi anche per equivalente, per un valore complessivo di circa 400.000 euro quale presunto profitto dei reati contestati.
Gli attuali vertici dell'agenzia Pugliapromozione sono assolutamente estranei alle accuse, essendo tra l'altro entrati in carica dopo che le persone indagate erano andate via, e avendo collaborato alla ricostruzione delle condotte contestate dopo l'apertura dell'indagine. Pugliapromozione fa rilevare che «unitamente alla Regione Puglia è parte lesa» e annuncia che «si costituirà in giudizio per ottenere il risarcimento di tutti i danni cagionati all’ente».