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Acquedotto Pugliese ai Comuni, ma il governo dice no. La Regione : «Andremo davanti alla Consulta»

 
massimiliano scagliarini

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massimiliano scagliarini

Acquedotto Pugliese ai Comuni  ma il governo dice no. La Regione : «Andremo davanti alla Consulta»

Palazzo Chigi respinge le proposte di modifica alla legge per l’acqua pubblica: la proprietà di Acquedotto decisa da una legge dello Stato, non spetta a Emiliano cambiarla

Mercoledì 15 Maggio 2024, 11:11

11:12

BARI - Non ha alcun senso una legge regionale che interviene sugli assetti proprietari dell’Acquedotto Pugliese in vigenza della legge statale che nel 1999 ne ha disposto il trasferimento alla Regione Puglia e - soprattutto - la gestione ope legis del servizio idrico integrato. È questa la posizione che il dipartimento degli Affari regionali di Palazzo Chigi ha espresso ieri durante l’incontro in videoconferenza per discutere delle criticità rilevate nella legge 14 che ha disposto il trasferimento del 20% di Aqp ai Comuni.

La riunione, durata non più di mezz’ora, ha visto la delegazione pugliese guidata dal segretario generale della presidenza, Roberto Venneri, annunciare che trasmetterà una ipotesi di mediazione per la modifica della norma, in modo da evitare l’impugnativa davanti alla Corte costituzionale. Ma la posizione del governo, illustrata nelle relazioni predisposte dal ministero degli Affari europei (Fitto) e della Giustizia, sembra escludere questa possibilità alla radice perché considera l’approccio della regione totalmente incompatibile con il quadro normativo nazionale e comunitario.

Il tema è da giorni al centro del dibattito politico pugliese, perché riguarda il futuro di Aqp dopo il 31 dicembre 2025, data di scadenza dell’affidamento ope legis deciso dalla legge statale con le sue successive proroghe. Dopo quella data il servizio idrico dovrebbe infatti essere affidato attraverso una gara d’appalto. Volendo evitare l’ingresso dei privati nella gestione dell’acqua, la Regione sta cercando la strada per prorogare la concessione di Aqp. E per questo ha approvato una legge che trasferisce il 20% delle azioni ai Comuni, così da consentire all’Autorità idrica pugliese di procedere all’affidamento diretto all’Acquedotto: la quota del 20% consentirebbe - secondo la Regione - di considerare Aqp come società in-house dei Comuni.

Ma sul punto il Governo ha messo paletti, sostenendo che non si può fare. Sia perché l’assetto proprietario di Aqp non può mutare nel periodo di vigenza della legge del 1999 (dunque fino a fine 2025), sia perché in ogni caso non sarebbero rispettati i criteri per procedere all’affidamento in-house.

L’iter della legge 14 è partito su proposta di Fabiano Amati (Azione), ma il testo è poi stato modificato per tenere conto dei rilievi presentati dall’ufficio legislativo del Consiglio. E sono stati così introdotti correttivi, con la creazione di una società veicolo che dovrà «portare» quel 20% di azioni e che dovrà rispondere a un comitato obbligatorio composto da tutti i Comuni pugliesi. Ma anche questo schema, tutt’altro che lineare, è finito nel mirino dei tecnici ministeriali, esattamente come era capitato nel 2011 con la legge di «ripubblicizzazione» voluta da Vendola che aveva immaginato la creazione di un nuovo ente Acquedotto Pugliese totalmente pubblico: venne impugnata e poi cancellata dalla Corte costituzionale, per motivi simili a quelli sollevati adesso.

In un quadro del genere è evidente che non ci sia spazio per una mediazione. Per provare a superare i rilievi, la Regione ha ipotizzato di modificare la norma differendone l’entrata in vigore al 1° gennaio 2026. Ma il governo ritiene che l’iniziativa legislativa regionale non sia compatibile con la normativa nazionale e con quella comunitaria. «Siamo al muro contro muro», spiegano fonti della presidenza della Regione, ritenendo che il «no» di Palazzo Chigi abbia contenuto politico e confermando che, a questo punto, sarà la Corte costituzionale a decidere a seguito della inevitabile impugnativa. È anche questa una posizione politica, perché così il presidente Michele Emiliano potrà dunque sostenere la tesi della contrarietà del governo all’«acqua pubblica». Ma chi sta seguendo il dossier a Palazzo Chigi fa notare che non è questo il caso: la scelta di cosa accadrà dal 2026 spetta per legge all’Autorità d’ambito, che può scegliere tra gara d’appalto e affidamento in-house. E non servono norme regionali perché ci sono già la legge statale e la giurisprudenza comunitaria.

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