Pronto soccorso in Puglia come nel resto d’Italia sempre più in emergenza. L’estate, così come avviene ormai da alcuni anni, ha ulteriormente messo in difficoltà gli italiani e il numero degli accessi ai Pronto Soccorso, specie nelle città turistiche, è aumentato a dismisura mettendo in crisi il personale sanitario specializzato delle emergenze e delle urgenze, sempre più ridotto al lumicino e costretto a lavorare in strutture sempre più sottoposte a tagli.
In Puglia, d’altra parte, in un ventennio, i Pronto soccorso da 70 sono diventati poco meno di una trentina mentre in Basilicata sono rimasti appena due. Una emergenza dell’emergenza che più volte è stata denunciata dalla Società italiana di medicina d’emergenza urgenza (Simeu) e dal suo presidente nazionale, Fabio De Iaco, di origini in parte pugliesi e attualmente direttore di pronto soccorso all’ospedale «Maria Vittoria« di Torino.
Presidente De Iaco come è andata l’estate dal punto di vista dell’emergenza-urgenza?
«È un bilancio che supera l’estate nel senso che il problema non è soltanto l’estate. Questa stagione, in realtà, ha una sua caratteristica abbastanza specifica per i Pronto soccorso: l’incremento netto degli accessi soprattutto nei luoghi di villeggiatura e turistici e la diminuzione nelle grandi città del Nord. Il vero problema è che, in questo periodo, per garantire le ferie ai colleghi, chi resta lavora il doppio su un carico di lavoro che è già spaventosamente alto ed è già ai limiti dell’intollerabilità. “Le ferie si pagano due volte”, si usa dire tra i medici del Sistema sanitario nazionale. E vale soprattutto per quelli che lavorano nei Pronto soccorso. Lasciare un reparto già sguarnito, seppur per poco tempo, aumenta i carichi di lavoro sia per sé stessi che per i propri colleghi, trasformando una condizione di emergenza in una condizione di crisi. Noi stiamo viaggiando davvero sulla lama del rasoio in tutta Italia. Ci sono Pronto soccorso che sono davvero al limite della chiusura dalla sera alla mattina e, soprattutto, c’è una diminuzione diffusa non soltanto degli organici ma, anche dell’efficienza delle nostre strutture».
E così molti camici bianchi preferiscono fuggire.
«Purtroppo le fughe non sono assolutamente compensate dagli ingressi delle nuove risorse che sono decisamente inferiori. Il problema è che non è più un buon affare lavorare in Pronto soccorso dal punto di vista economico, della qualità di vita e della sicurezza. Anche la soddisfazione personale che prima ci spingeva a lavorare nonostante le difficoltà sta venendo meno in molti colleghi».
Le vostre interlocuzioni con il Governo hanno sortito qualche effetto?
«I tavoli tecnici con il ministero della Salute sono in corso ma il tempo stringe. Nelle ultime settimane siamo stati coinvolti dal Ministero per rivedere sia il Decreto ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera) sia il Dm del 23 maggio 2022, n. 77 (Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale), ovvero le due leggi che regolano l’organizzazione e l’integrazione tra ospedali e territorio. Abbiamo presentato alcune nostre osservazioni e a settembre avremo una riunione più operativa»
Il Decreto Bollette coinvolge anche il personale dell'emergenza-urgenza.
«Lo abbiamo accolto con favore visto che ha messo in campo alcune soluzioni (ricorrere alle prestazioni aggiuntive del personale medico ed infermieristico presso i servizi di emergenza-urgenza ospedalieri consentendo un aumento della relativa tariffa oraria fino a 100 euro lordi onnicomprensivi per il personale medico e a 50 euro lordi onnicomprensivi per il personale infermieristico, ndr) che, in questo momento, stanno parzialmente funzionando per esempio proprio per la struttura di Foggia. Ma, in ogni caso, è solo una misura che continua a gestire l’emergenza. Mancano i provvedimenti concreti, coraggiosi e a lungo periodo per cambiare e rivoluzionare il sistema organizzativo del Sistema sanitario nazionale»
Cosa occorre per potenziare il Ssn?
«Riformare le Scuole di specializzazione in modo tale che gli specializzandi, in numero comunque insufficiente ma importante in Italia, cessino di essere considerati “eterni studenti”. Gli specializzandi sono medici laureati, preparati, che continuiamo a trattare come “studenti” e che quindi al Ssn non danno alcun aiuto. Occorre mettersi ad un tavolo con le Università, con i Ministeri competenti e ragionare su una nuova organizzazione delle Scuole di specializzazione in modo tale che queste forze nuove possano dare un contributo reale agli ospedali così come avviene in tutta Europa».