Sabato 06 Settembre 2025 | 18:41

Decine di grandi affari pugliesi decisi grazie ai dossier degli hacker

 
Francesco Casula e Massimiliano Scagliarini

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Francesco Casula e Massimiliano Scagliarini

Decine di grandi affari pugliesi decisi grazie ai dossier degli hacker

De Agostini comprò informazioni su un imprenditore di Noicattaro prima di acquistare. E la manager (brindisina) di Amazon chiese aiuto a Pazzali

Sabato 02 Novembre 2024, 11:01

BARI - Tra il 2022 e il 2024 la Equalize di Milano ha avuto oltre 400 clienti, dal piccolo imprenditore alla multinazionale, fino agli studi legali che cercavano - consapevolmente o no - informazioni riservate. Quasi sempre per motivi di business, anche se non mancano le questioni private come quelle dell’imprenditore romano Lorenzo Sbraccia che ha fatto pedinare l’ex banchiere Gianluca Jacobini e la moglie Amalia Alicino. E tutto, o quasi, il sistema costruito dall’ex poliziotto Carmine Gallo e dall’hacker Sam Calamucci - dicono le informative depositate dai carabinieri al pm della Dda di Milano, Francesco De Tommasi - si basano sulle informazioni che un finanziere, Giuliano Schiano, tirava fuori dal suo computer nella sede della Dia di Lecce: migliaia di accessi illegali su cui, con ogni probabilità, sono stati costruiti (o sono saltati) affari milionari.

C’è ad esempio la Dea Capital, la società di investimenti del gruppo D’Agostini che nel dicembre 2019 ha acquisito il 45% dell’azienda agricola Tarulli di Noicattaro, specializzata in uva biologica. Un gioiellino dell’agricoltura pugliese su cui il gruppo di via Pattari ha effettuato ricerche, passando ai raggi «x» il nome del titolare e dei suoi familiari.

Uno dei più importanti studi legali italiani ha poi commissionato un report su un imprenditore barese, titolare di società che gestiscono supermercati. Anche questo report si basa sulle interrogazioni effettuate in banca dati dal finanziere Schiano della Dda di Lecce. La vicenda assume rilevanza perché a luglio 2024 un avvocato dello studio milanese si presenta in via Pattari nell’ufficio di Equalize per contestare il dossier, ritenendo non affidabili le informazioni ottenute e per le quali era stato concordato un compenso di 8mila euro più Iva.

Ed è allora che Gallo si arrabbia un po’: «Quando noi diciamo che il soggetto non ha nulla io non scrivo di raccontare balle, perché non ha nulla. Perché noi andiamo a guardare il fascicolo riservato, quello che guardano i magistrati, quindi se dal nostro fascicolo risulta nulla... e risulta il procedimento ancora in corso vuol dire che ha solo quello ed è ancora in corso». L’ex poliziotto a quel punto tira fuori le schede originali ottenute dallo Sdi, quelle che di norma vengono «camuffate» per non far capire ai clienti da dove vengono le informazioni: «Questo a solo titolo di amicizia e perché lei è un avvocato glielo lasciamo, ma non potremmo lasciarglielo, come vede questo è il fascicolo giudiziario vede... dove c’è tutto (...) vede? Vittima, lui è sempre vittima. Qua vittima, vittima... vittima, vittima, vittima... Lui ha un porto di pistola avvocato, per avere un porto di pistola quest’uomo è illibato. non ha condanne... non ha nulla». L’avvocato milanese ci resta di sasso e chiama, in viva voce, il collega di Taranto con cui segue la vicenda: «Io gli ho chiesto lo sconto poi loro mi hanno fatto vedere questa cosa e allora non me la sento più di chiederlo perché il lavoro è stato fatto e anche il risultato è stato ottenuto, se poi non hanno trovato, non hanno trovato che non ha ammazzato nessuno, e non ha ammazzato nessuno...».

Secondo i Carabinieri l’86% del profitto della Equalize è costruito su informazioni rubate dalle banche dati dello Stato. Le tre tipologie di report proposte dagli hacker milanesi venivano vendute a mille, 5mila e 15mila euro a seconda della qualità delle informazioni richieste. I più costosi erano quelli che contenevano anche dati di «natura economico finanziaria» provenienti dal Siva il (Sistema informativo valutario) e dall’anagrafe dei conti correnti. Informazioni riservatissime, destinate alle forze dell’ordine, alle quali Schiano poteva accedere in virtù della sua appartenenza alla Dia che gli consentiva il livello massimo di consultazione dei dati. Per chi indaga c’era una «squadra» della Dia di Lecce a disposizione di Equalize: sicuramente tre, forse quattro militari pronti ad effettuare interrogazioni in cambio di denaro. Tre sono stati individuati. A Lecce - dice Gallo in una intercettazione - «lavorano otto-dieci persone e sono in tre o quattro a fare quel lavoro lì».

E a proposito di multinazionali, anche Amazon sembrava interessata ai servizi della Equalize, pur non avendo mai formalizzato alcun incarico. A luglio scorso il gigante dell’e-commerce ha subito un sequestro da 121 milioni per una presunta frode fiscale collegata ai rapporti con un fornitore. Il fascicolo di questa vicenda finisce nelle mani di Enrico Pazzali, socio di maggioranza della Equalize (indagato, per lui il gip non ha accolto la richiesta di arresto) che a sua volta lo gira a Gallo. A darglielo, si capisce dalle intercettazioni, era stata la country manager di Amazon Italia, la 50enne brindisina Mariangela Marseglia (non è indagata, ed anche l’azienda è estranea a qualunque tipo di accusa) che aveva chiamato Pazzali per chiedergli qualche consiglio. «Il punto - gli spiega la manager - è che se lavoro con un fornitore diciamo, che lavora con me e con altri “N”, io posso controllare quello che fa in relazione all’attività con me, nei nostri contratti c’era scritto che noi non volevamo che loro subappaltassero l’attività e che addirittura assumessero i loro diciamo driver no, quindi zero cooperative, zero tutto questo, controllavamo che lo facessero, controllavamo le buste paga... Poi questi adesso ci dicono che no, noi dovevamo controllare anche quello che loro facevano in relazione ad altri contratti di fornitura che avevano, ma questo mi sembra assurdo. (...) Manco se fossimo a casa di Totò Riina e ti bloccano centoventi milioni». Un discorso che per Pazzali è musica.

L’allora presidente della Fiera di Milano, autosospeso dopo la notizia dell’inchiesta, secondo i risultati del’indagine viaggiava su una macchina con autista e con anche una «paletta con stemma della Repubblica e la dicitura Prefettura di Milano». E forse, scrive chi indaga, questa confusione poteva servire a dare una parvenza di legalità all’attività della Equalize: «Pazzali non è solo vicino alle istituzioni, un’evidente vicinanza di comodo, ma si accosta anche alle medesime». Il pm De Tommasi ha fatto appello al Tribunale del Riesame, chiedendo di disporre gli arresti domiciliari nei confronti di tre persone (tra cui Pazzali) e il carcere nei confronti di altri 13, tra cui Gallo, Schiano e il poliziotto pugliese Marco Malerba, in servizio a Rho, come l’altro sospeso per 6 mesi. Malerba è l’unico finora ad aver ammesso gli accessi abusivi.

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