Il 17 per cento della manodopera straniera in Italia è impegnato nel settore delle costruzioni. Ed è un dato destinato a crescere in maniera esponenziale. Nei cantieri è una «babele»: tra gli operai i vari Rocco, Giuseppe, Vito, Antonio, cominciano ad essere la minoranza, soppiantati da Abdul, Abbass, Mohammed e Karim. È in atto una «sostituzione etnica» in edilizia come in agricoltura, settori che hanno visto progressivamente allontanarsi gli italiani, sempre meno attratti dal «lavoro duro» tra zappe, cazzuole, tenaglie e frattazzi. Senza l’apporto di migranti non solo i campi sarebbero incolti, il raccolto diventerebbe un’impresa proibitiva, ma assisteremmo a una desertificazione dei cantieri proprio in un momento storico in cui, tra fondi Pnrr e riqualificazioni energetiche, abbondano le opportunità di lavoro in questo comparto.
Da Latronico arriva la storia di un’azienda che senza il supporto di lavoratori stranieri avrebbe avuto serie difficoltà a portare avanti il suo piano di sviluppo. Si tratta della Ediltraman Company Srl, condotta dall'ing. Francesco Calderaro insieme al padre Mario Ivo e al fratello Gimmi, impegnata nella produzione di manufatti prefabbricati per importanti commesse nazionali e internazionali. A dicembre scorso la società ha formalizzato l'acquisizione di un’importante commessa relativa a una nuova tipologia di prodotto edilizio, brevettato e realizzato ad hoc, finalizzato all'adeguamento alle normative europee di sicurezza stradale delle gallerie dell'Autostrada A10 da Savona a Ventimiglia.
Un lavoro importante per il quale l’azienda ha dovuto non solo organizzare una nuova linea di produzione in tempi record, con la realizzazione di stampi e l’adeguamento degli impianti, ma cercare nuova manodopera. Servivano almeno dodici operai per la nuova produzione. «Ci siamo scontrati - dice Calderaro - con la cruda realtà dell'area interna della Basilicata. È subito emersa la carenza di maestranze locali, ormai introvabili. I giovani in età da lavoro sono andati via in migliaia dalla Basilicata e i nostri paesi si sono spopolati». Il rischio che saltasse il progetto è stato alto: «Abbiamo cominciato a spargere la voce che ci occorrevano operai generici ma senza risultato. Con la forza della disperazione - aggiunge Calderaro - abbiamo contattato un centro Sprar chiedendo se per caso ci fossero ospiti migranti che volevano lavorare e per fortuna la risposta è stata positiva». Un po’ scettica sulla reale volontà lavorativa di questi giovani e cosciente della necessità impellente di scegliere tra rischiare o rinunciare ad una importante commessa, l’azienda ha deciso di assumere i migranti.
Scelta vincente: «Questi ragazzi - dice Calderaro - hanno veramente voglia di lavorare e guadagnare. Hanno la fame e la voglia di fare dei nostri nonni quando partirono negli anni '50 dello scorso secolo per il Belgio o la Francia. Oggi ai nomi che circolano in azienda Raffaele, Francesco, Domenico, Gino, Savino, si sono aggiunti Karamoco e Bacari (dal Mali), Abramane (Dalla Repubblica Centro Africana), Haroon (dal Pakistan) e Gabriel (dalla Romania). Si sono integrati bene nell'ambiente lavorativo e sono perfettamente autonomi. Ottimi lavoratori che - conclude Calderaro - permettono all'azienda di competere in campo nazionale con le sfide che il mercato ogni giorno ci mette di fronte».