POTENZA - Un gruppo di potere in grado di rodare un sistema attraverso «un mercimonio delle pubbliche funzioni al fine di consolidare e accrescere il potere proprio e dei soggetti appartenenti al gruppo». È maestoso il castello delle accuse montato in due anni da polizia e carabinieri, sotto l’egida della procura distrettuale antimafia diretta dal procuratore Francesco Curcio. E il castello ha mille stanze dalle quali entrano ed escono personaggi di primo piano, comprimari e professionisti più o meno noti, ma anche gente comune in cerca di lavoro, promozioni, trasferimenti, favori. Quel «castello» ha sprigionato accuse che hannotravolto anche la cabina di regia del governo regionale a maggioranza di centrodestra, specie nella guida della macchina sanitaria.
Non a caso a far rumore è stata soprattutto la misura cautelare dell’obbligo di dimora nei confronti di Francesco Cupparo, 66 anni, di Francavilla in Sinni, assessore alle Attività produttive; ma anche quella nei confronti di Rocco Leone, 69 anni, nato a Montescaglioso e attivo a Policoro, ex assessore alla Salute e ora consigliere regionale di FdI; e di Giuseppe Spera, potentino di Avigliano, 53 anni, dal 2019 al 2020 direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria Potenza (AsP) e poi commissario straordinario dell’Azienda ospedaliera regionale (Aor) «San Carlo» e dal 17 dicembre del 2020 direttore generale dell’ Aor.
Una lama pesante sul sistema politico resa ancora più avvelenata dall’iscrizione nel registro degli indagati del presidente della giunta regionale, Vito Bardi, 71 anni, e di Francesco Fanelli, 41 anni a dicembre, già assessore regionale alle Politiche agricole e ora alla Salute, e di Donatella Merra, 36 anni, potentina di Melfi ma residente a Lavello, assessore regionale alle Infrastrutture.
Certo, sono tutti innocenti fino a condanna e servirà provare che quanto commesso sia reato. Ma la mole di carte, foto, intercettazioni telefoniche e captazioni audio-video che polizia e carabinieri hanno ammassato dal 2019 al 2020 nel «castello», fa emergere un quadro a tinte fosche.
Al centro dell’inchiesta nella quale la sanità è la torre principale, ma non l’unica, e con la quale la Direzione distrettuale antimafia di Potenza ha di fatto scatenato una bufera nelle stanze dei bottoni della Regione, ci sono due figure. La prima è quella dell’ormai ex capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale Francesco Piro, 46 anni, di Lagonegro, politico in ascesa, almeno fino a venerdì mattina, quando è stato arrestato: è l’unico finito in cella nel dedalo dei 39 indagati.
Domani alle 10.30, nel carcere di Potenza, l’interrogatorio di garanzia. Piro è assistito dall’avvocato Sergio Lapenna che venerdì sera ha protocollato le dimissioni dell’esponente di Fi dall’assemblea lucana. Un millimetro sotto Piro, va detto, compare Maria Di Lascio, 60 anni, potentina di Nemoli e dal 2020 sindaco di Lagonegro dove risiede e che è la città di Piro: anche per lei è scattato l’arresto ma le sono stati concessi i domiciliari.
Tirando le somme, la verità è che l’onda della Dda s’è abbattuta su più della metà della giunta Bardi, tre assessori su cinque. E se oltre ai tre assessori in carica (Cupparo, Fanelli e Merra) consideriamo anche i due ex, visto che oltre a Leone nel groviglio accusatorio è finito anche il neo eletto senatore di Fratelli d’Italia, Gianni Rosa, 57 anni, di Potenza, ex assessore all’Ambiente da maggio 2019 a febbraio scorso, è chiaro dunque come il centrodestra al governo sia a una rotonda caotica. Anche perché la maggioranza dei consigliere che sostiene Bardi è risicata, dopo che Leone, in consiglio, non ha possibilità di votare perché con obbligo di dimora a Policoro.
Ma questo attiene alle geometrie politiche. Le pieghe dell’ordinanza, e quindi il «castello», entra nel merito dei rapporti di potere. E qui figura l’altro uomo chiave dell’inchiesta, Massimo Barresi, all’epoca dei fatti direttore generale della Aor «San Carlo» di Potenza. È lui che ha spianato la strada sulla quale è stato costruito poi il castello delle accuse. E contro di lui si sarebbe schierato un asse di big.
DELIBERA GHIGLIOTTINA In una delle «stanze» di accuse dove compiano contemporaneamente i nomi di Bardi, Fanelli, Leone, Cupparo, Merra e Rosa, c’è quella nel quale la procura sostiene la tesi del «disegno criminoso volto all’ eliminazione del dottor Barresi e al conseguente licenziamento dello stesso». Un disegno messo a terra a colpi di delibere. la prima è quella che «dà istruzioni agli avvocati che difendono la Regione Basilicata» davanti al Tar dove si discute la nomina di Barresi, a non spingere troppo per il buon esito della difesa di Barresi e dunque di «rimettersi al collegio giudicante». Un’indicazione «in contrasto con l’autonomia dell’avvocato stesso nello sviluppare la linea difensiva». C’è un’altra delibere anti-Barresi ed è la numero 438 del 2 luglio 2020 che riguarda il riparto definitivo dei fondi, praticamente la partita essenziale. Bardi, Leone, Cupparo, Fanelli e Rosa, si legge nelle carte, «compivano atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere alle dimissioni Barresi Massimo, all’epoca dei fatti direttore generale dell Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, colpevole di non essersi adeguato alle richieste indebite e talora illecite e o clientelari di rappresentati della Giunta Regionale ovvero di esponenti politici della maggioranza che esprimeva la giunta». E tra gli atti c’è la delibera di giunta regionale n. 438 del 2 luglio 2020 inerente il riparto definitivo FSR 2019, «con la quale veniva applicata, in dispregio della pregressa nota programmatica di bilancio, una immotivata e strumentale (per indurlo alle dimissioni) riduzione del fondo indistinto sanità di circa 10.439 milioni di euro all’Ospedale San Carlo di cui non si rilevava giustificazione o suffragio in criteri oggettivi (tale assegnazione invero riconosciuta a titolo di funzione di complessività organizzativa, passava da 33milioni di euro a 21 milioni, con un taglio di circa 12 milioni rispetto a quanto disposto in sede di riparto provvisorio con la DRG n 848 2019 del 14/11/2019 con un conseguenziale abbattimento di assegnazione del citato fondo dal 24% al 14,27%, inerente la sola Azienda Sanitaria S Carlo di Potenza) al contrario della AsM di Matera e del CROB di Rionero che in forza di tale provvedimento non subivano decurtazione ed il CROB in particolare beneficiava di un incremento di oltre di 570%». Lo scopo sarebbe stato secondo gli investigatori quello di «mettere il Barresi in eccezionale difficoltà se non nella sostanziale impossibilità di raggiungere i risultati di gestione che doveva conseguire con il connesso rischio di essere esposto, in ragione di tale carenza di fondi ad un fallimento professionale e gestionale». Il disegno insomma era quello di far naufragare il pesce (Barresi) togliendo l’acqua dalla boccia (i soldi al San Carlo), trasferendoli in un altro contenitore (Crob di Rionero), salvo poi riempire di nuovo la boccia. Una volta estromesso Barresi «la Giunta Regionale di Basilicata deliberava di riassegnare quasi sette milioni e mezzo all’Aor San Carlo amministrata da Giuseppe Spera che nel frattempo era diventato Commissario dell’Aor.
PARCELLA ALL'AMICO C’è un’altra stanza delle accuse che inquieta e che confermerebbe «il mercimonio delle funzioni pubbliche». Emerge che il «controllo sulla Direzione generale dell’azienda ospedaliera San Carlo di Potenza da parte dei politici coindagati, al cui vertice costoro avevano fatto in modo di inserire un amico legato a tutta una filiera, si estrinsecava quindi in ingerenze volte a favorire indebitamente i soggetti da costoro prescelti in violazione delle norme poste a presidio dell’imparzialità, buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa». A che cosa ci si riferisce in concreto? Al fatto che l’ex capogruppo di Fi, Piro «intendeva favorire anche l’avvocato Giuseppe Sabella». «Devi diventare avvocato unico del San Carlo. Mamma Santa, uagliò parcelle milionar, uagliò» dice in una telefonata Piro all’amico avvocato. Sabella avanza un dubbio: all’interno del San Carlo era già presente come avvocato Domenico Carlomagno: «C’è Mimmo al San Carlo, lui è l’avvocato interno». Ma Sabella si sarebbe avvalso della intermediazione di Carlomagno «con il benestare di Spera». Sabella racconta a Piro: «Mi ha detto Spera, parla pure con Mimmo Carlomagno per l’assegnazione degli arbitrati più redditizi... su un arbitrato di sette ottocentomila euro almeno ci fai una parcella di 30, 40 mila euro», aggiunge al telfono a Piro. Soldi che sarebbero serviti a «comprare la casa ad Andrea», il figlio 23enne dell’avvocato.