Sette serre, undicimila piante, 16 tonnellate di inflorescenze di marijuana per valori, anche all’ingrosso di molte decine di migliaia di euro (a 2mila euro al chilo sarebbero 32 milioni) e 118 chili di prodotto già essiccato e messo in buste elettrosaldate pronto per essere mandato sul mercato dove, a un prezzo medio di 6 euro al grammo, avrebbero fruttato oltre 700mila euro.
È un giro troppo grosso per interessare la sola Basilicata quello scoperto dai carabinieri a Venosa, tra le contrade Santa Lucia e Mattinelle.
Un'indagine «vecchia maniera» che ha portato all’arresto di cinque persone, tre calabresi e due marocchini, che gestivano quella coltivazione intensiva nascosta agli occhi dei più da un dosso naturale che rendeva le serre invisibili a chi percorreva, in auto o a piedi, le aree vicine. E invece i carabinieri della compagnia di Venosa, guidati dal capitano Alessandro Vergine, sono arrivati a quella struttura nell’ambito dei controlli sul territorio disposti dal comandante provinciale Nicola Albanese che ha chiesto d i monitorare, anche a piedi, anche gli angoli più nascosti del territorio per evitare che ci si celi qualcosa, dai latitanti alle armi, dai rifiuti alla droga.
Ma quando sabato scorso i militari si sono trovati davanti all’impianto sono rimasti sbalorditi: la struttura (coperta da teloni) non era nuovissima, ma le tubature dell’irrigazione che portavano alle serre e il generatore elettrico in funzione testimoniavano un’attività. Hanno così dato vita d un appostamento che è andato avanti fino a lunedì quando i cinque sono giunti sul posto. Due si sono allontanati dopo poco, altri tre hanno iniziato a lavorare nella struttura e, per far prendere aria alle pinte, hanno rimosso i teloni. A quel punto è stata chiara la presenza delle piante all’interno, e i militari sono intervenuti.
Arresto in flagranza per i tre (gli altri due saranno fermati poco dopo a Ripacandida su un bus) e ancora sorprese: in un capannone annesso alle serre c’erano i macchinari per l lavorazione dello stupefacente. Una «catena di montaggio, tra essiccatrice, imbustatrice, ripiani per far arieggiare il raccolto, cassette per riporlo. E c’era anche una «foresteria alla buona» con tre letti e un angolo cottura per gli addetti al lavoro. Addetti da chi, resta da capire. Ma non è l’unico elemento su cui le indagini vanno avanti.