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s. nicola di melfi
20 Luglio 2018
Francesco Russo
Fortemente sospettato di essere causa di inquinamento. Non solo delle acque industriali e sotterranee. Ma anche di quelle ad uso potabile. Per questo motivo, il termovalorizzatore Rendina Ambiente di San Nicola di Melfi è finito al centro di un procedimento penale. A conclusione di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Potenza e delegate al Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri è stata data esecuzione ad un’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari che ha disposto la misura del divieto di dimora in Basilicata per l’amministratore delegato Luca Alifano ed il sequestro preventivo degli impianti di messa in sicurezza e di bonifica dello stabilimento industriale. Il reato contestato è quello di inquinamento ambientale, mentre le indagini riguardano il termodistruttore per rifiuti speciali - pericolosi e non - fino a poco tempo fa appartenente alla società Fenice e gestito oggi da Rendina Ambiente, nel più importante polo industriale della Basilicata, nell’area di San Nicola di Melfi.
L’impianto di smaltimento tramite incenerimento - ricorda il procuratore Francesco Curcio - è interessato «da una diffusa e storica contaminazione delle falde acquifere sotterranee da inquinanti quali nichel, mercurio, fluoruri, nitriti, tricloroetano, tricloroetilene, tetracloroetilene, bromodiclorometano e dibromoclorometrano», ritenuti tutti «pericolosi e cancerogeni». Nel procedimento panale risulta indagato Luca Alifano in qualità di amministratore delegato di Rendina Ambiente. Sulla base delle indagini svolte dal Noe e di una consulenza tecnica collegiale al manager viene contestato «il delitto di inquinamento per non aver provveduto alla bonifica del sito inquinato» ed in particolare «per aver omesso di predisporre un modello concettuale di bonifica adeguato che tenesse conto che le misure di sicurezza adottate si erano rivelate inefficaci, in quanto vi è stata la diffusione di elementi inquinati all’interno del sito Fenice e nelle aree circostanti, nonché la contaminazione dell’acqua industriale e di quella destinata al consumo umano, concorrendo in tal modo a determinare la grave compromissione della matrice ambientale delle acque sotterranee nelle aree circostanti il sito Rendina Ambiente, nonché la compromissione delle acque potabili con grave pericolo per la salute pubblica».
Si tratta, insomma, di accuse pesantissime, nei confronti di una società da tempo nel mirino di associazioni ambientaliste e delle istituzioni locali, fra cui il Comune di Melfi e la stessa Regione Basilicata. «Tale condotta omissiva - specifica il procuratore della Repubblica del Tribunale di Potenza - ha determinato il protrarsi della compromissione del bene ambientale già accertata nel 2009, ed un ulteriore aggravamento della stessa, come risultato delle analisi acquisite».
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