di Ugo Sbisà
Che Sanremo sarebbe senza qualche spezia? Anche quest’anno, con la formula «popolar-nazionale» voluta per privilegiare la musica dal divo Claudio - parliamo ovviamente di Baglioni, non di quello... zucchificato da Seneca - tra la polemica subito rientrata con gli alpini e il giallo tutt’ora in corso sull’autoplagio di Ermal Meta e Fabrizio Moro, non sono mancate le dispute. Ma in ogni caso, incidenti di percorso a parte, la formula ha funzionato e lo dimostrano i numeri, ancora più generosi dell’ultima edizione firmata da Carlo Conti: 11 milioni e 600mila spettatori e uno share dal 52 per cento per la prima serata non sono bazzecole e anzi, la dicono lunga. Perché per una volta, le canzoni non sono diventate un... intermezzo necessario a corredo di ospiti d’onore, vetrine per gli sponsor e quant’altro, ma hanno conquistato la scena come è giusto che accada in una manifestazione che si vanta di essere il «Festival della canzone italiana».
A voler essere severi, trattandosi di una manifestazione musicale, ciò che a tratti è sembrato altalenante è stato il ritmo dei dialoghi; alla verve di Michelle Hunziker e alla simpatia da gaglioffo di Pierfrancesco Favino non è corrisposto altrettanto brio proprio da parte del «dittatore artistico», ma tant’è, i cantanti devono cantare: saper tenere la scena anche senza l’accompagnamento della musica non è da tutti.
Da un punto di vista strettamente musicale, i brani selezionati si sono rivelati ben assortiti, anche se una legge non scritta vuole che le canzoni sanremesi siano facili e orecchiabili, con ritornelli molto radiofonici. Basterebbe questo a delineare un ideale spartiacque fra quanto fin qui ascoltato, ma l’esperienza insegna che ogni regola ha la sua eccezione (ricordate il poco melodico Faletti di Minchia signor tenente?) e in questo senso, fra i giovani, abbiamo ascoltato ieri il gustoso Il congiuntivo di Lorenzo Baglioni (tranquilli, è solo un omonimo).
Se fosse il festival delle sorprese anche nella serata finale, Baglioni porterebbe a casa un altro grande risultato: aver dimostrato che, nel suo essere metafora dell’Italia d’ogni giorno, Sanremo ci suggerisce di puntare sempre su persone competenti e non solo nella musica. Capita l’antifona?