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La vita pericolosa del boss «fuori di testa» amico dei servizi segreti Colpiva travestito da agente

 
La vita pericolosa del boss «fuori di testa» amico dei servizi segreti Colpiva travestito da agente

Lunedì 19 Novembre 2012, 18:00

03 Febbraio 2016, 01:57

Esagerava in tutto, e volle sbalordire i magistrati raccontando di essere stato affiliato alla mafia barese addirittura quando aveva appena 13 anni. Loro gli credettero e così Francesco Leone, che oggi ha 51 anni, fu il primo pentito nella storia della criminalità barese a mettere a nudo i riti e le affiliazioni secondo modalità tipiche della mafia, applicate dal clan barese di Antonio Di Cosola. I cui affiliati anche grazie alle confessioni di Leone subirono pesanti condanne. Era il 1993 e il processo che venne incardinato anche sulle sue deposizioni passò alla storia col nome di “Conte Ugolino”.

La sua vita è racchiusa probabilmente nel suo soprannome, «u’astat» (in barese qualcosa di simile a “fuori di testa”). Francesco Leone, pur avendo collezionato oltre vent’anni di condanne, ha saputo sfruttare molto bene la legislazione riservata ai pentiti, consentendosi il lusso di restare quasi sempre in libertà, al punto da far sospettare che in realtà fosse ben protetto negli ambienti degli investigatori e forse persino vicino a quello dei servizi segreti.

Leone, nell’ottobre del 1992, si rese responsabile di una delle rapine più audaci nel centro del capoluogo pugliese, quella alla filiale della Cassa di Risparmio di Puglia: per una notte lui e i suoi complici segregarono la famiglia del direttore costringendo il responsabile della banca ad aprire il caveau e consegnare valuta estera per un valore di un miliardo e 200 milioni di vecchie lire. Per depistare le indagini, «u’uastat» e i suoi complici idearono una messinscena tentando di orientare le indagini verso la pista terroristica scattando una foto alla famiglia del direttore di banca davanti a un drappo con la stella a cinque punte delle Brigate Rosse. Un ennesimo bluff ma che gli costò comunque una condanna a 10 anni di reclusione.

Nel febbraio del 1993, mentre era in detenzione per la rapina alla Caripuglia, evase con la complicità di un ex poliziotto accusato di concorso in omicidio dal supercarcere di Turi, in provincia di Bari.

Sempre da uomo «libero» Leone organizzò una banda che mise a segno una quindicina di colpi (quelli accertati) con la tecnica del sequestro di persona tra Bari, Latina e Roma. Colpi messi a segno con una caratteristica: sequestro lampo dlele vittime e travestimenti utilizzando unfirmoi di polizia o carabinieri. Altro processo e nuova condanna, nel maggio del 2001, a 12 anni di reclusione.

Un rivolo di quell’indagine romana è ancora in attesa di essere definita nel capoluogo pugliese nei confronti di una donna, complice del boss. Ma proprio il gentil sesso avrebbe rappresentato una debolezza nella vita spericolata di Leone: durante la sua detenzione in un penitenziario per pentiti, l’ex «gola profonda» della mala barese si innamorò di un’agente di custodia. Che fosse un altro bluff o amore vero, la liason comunque non decollò.
(Redazione online)
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