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L'America è qui: Il popcorn di Castronuovo finisce nel paniere lucano

 
Giovanni Rivelli

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Giovanni Rivelli

Potenza, pop corn nel paniere lucano tutelato dal ministero

Il prodotto, ricavato dal mais, affonda le radici nella cittadina potentina. Una storia di 100 anni

Venerdì 05 Marzo 2021, 15:42

POTENZA - Se pensando a una sagra del pop corn vi vengono in mente carovane e cowboy siete in errore. E non perché, a sentire gli storici, dovreste pensare ai Maya e agli Inca che questo irresistibile snack lo mangiavano già mille anni fa e più, ma perché, parola di ministero delle Politiche agricole e forestali, state pensando a un Prodotto Agroalimentare tradizionale lucano. Precisamente di Castronuovo di Sant’Andrea.

Da ora il “Pop corn di Castronuovo di S.A.” è infatti inserito nell’elenco dei 163 “Pat” della Basilicata, con l’”infornata” delle ultime 14 specialità (dai più rassicuranti nomi di salsiccia, percoca o pastenaca) appena fatta dal ministero. Ma prima di storcere il muso e pensare che «siamo alle solite» è bene approfondire la questione. Perché il mais che messo in padella scoppia è senza dubbio proveniente dalle Americhe, esattamente come quelle patate che, tagliate a bastoncini e fritte, diventano in tutto il mondo “french fries” ossia francesi fritte, pur non riuscendo a nascondere il proprio accento yankee.

E allora è bene tornare indietro negli anni di questo centro di origine romana e dei paesi vicini, non alle origini, ma sicuramente a un secolo fa. Parlando dei ricordi di infanzia con qualche ottuagenario o più del posto se non si sentirà parlare dei pop corn è solo perché qui avevano un altro nome. Quel cibo delizioso si chiamava “carciofuli” a Castronuovo (forse dalla forma a carciofo del mais esploso) o “shcocc” a Roccanova e non è difficile capire il perché dal crepitio che i grani fanno quando esplodono. Perché già a inizio ‘900, quando non c’era radio o televisione e le lunghe sere invernali si passavano intorno al camino a raccontare storie, nelle occasioni più felici faceva la sua apparizione una padella nera all’interno della quale veniva messo un filo d’olio e poi i semi delle pannocchie sgranati ed essiccati e il contenitore veniva posto sulla fiamma del camino o sulla brace ardente del braciere e con le sue piccole e continue esplosioni prima di rivelare il suo bianco contenuto a chi alzava il coperchio.

Così i pop corn erano diventati già 100 anni fa una consuetudine in queste parti della Basilicata, al punto da rappresentare, spesso, anche la merenda da dare ai bambini, la colazione da far portare a scuola nel secolo scorso, ovviamente avvolta in carta di pasta o di zucchero riciclata.
Una ricetta che forse all’epoca parlava di modernità, dell’esperienza di qualcuno rientrato dall’emigrazione americana e che aveva imparato a preparare il mais in quel modo ma che ora appartiene a pieno titolo alla cultura locale.

Una storia su cui indagare in una “globalizzazione ante litteram” figlia delle nostre emigrazioni. Le stesse per cui le arachidi in alcuni paesi del Marmo Platano sono diventate elemento tradizionale delle feste di Natale, ma con un nome totalmente diverso: “P’nozz”, un suono che richiama in modo evidente l’americano “peanuts”.

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