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Non solo sassi: la Murgia è miniera ostica e gentile

 
Onofrio Pagone

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Onofrio Pagone

Non solo sassi: la Murgia è miniera ostica e gentile

La raccolta di racconti «Frammenti di Murgia» (Secop) si apre con questa prefazione. Il libro (ne riferiamo in basso) è una storia geo-poetica del territorio. Un Parco e le sue storie intime: natura e silenzi

Domenica 03 Gennaio 2021, 11:40

20:07

La raccolta di racconti «Frammenti di Murgia» (Secop) si apre con questa prefazione. Il libro (ne riferiamo in basso) è una storia geo-poetica del territorio.

Murgia. La Murgia si porta dietro i sassi già nel nome: quella «r» a dividere le due sillabe che lo compongono funge da pietra d’inciampo, come fosse un simbolo identitario al quale inchinarsi.
Murgia. Terra arida e ventosa: cosi la conosciamo. Terra di pecore e pastori, oppure di soldati in formazione, una volta «deportati» sull’altopiano per imparare a sparare e giocare alla guerra senza correre il rischio di far male a estranei. Oppure terra di cacciatori della domenica, attrezzati di tutto punto per divertimento, per provare il brivido di un’alba insolita immersi in un silenzio agitato da fantasmi.

Murgia, terra mia – vorrei dire – perché non proprio lontana da quella dei miei natali, eppure lontanissima: non ha il mare anche se lo vede, non conosce la brezza ma solo l’afa, oppure la neve e il gelo. Terra violentata dall’uomo, con quelle pale che sfruttano il vento per produrre energia, preziose eppure spaventose come croci, insidiose per gli uccelli selvatici, tanto da trasformare il panorama in un Golgota della tecnologia. Terra avara, se riconosciamo come generosa solo la terra che produce frutti da mercato, pronti all’uso e al commercio, seminati e mangiati.
La Murgia invece è una miniera. Non va scavata né levigata: va vissuta, frequentata. Va amata. Questi racconti insegnano ad amarla questa terra, in cui si incespica e si corre il rischio di non trovare nulla o nessuno, ma di ritrovare se stessi. E poi di imbattersi in una vegetazione straordinaria, cioè fuori dall’ordinario, e in animali straordinari perché singolari, ormai rari e bellissimi. I lupi, sì, ma i lupi sono i più conosciuti, forse diventati meno familiari da queste parti ma comunque noti. No: la Murgia è popolata da flora e fauna da manuale. Qui la natura è l’unica protagonista e l’uomo è solo un ospite, un personaggio di secondo piano, un intruso, spesso un elemento di disturbo.

Qui la natura è roba da intenditori, da cercatori di novità e di bellezza. Come lo sono gli autori di questi racconti, che sulla Murgia si muovono con disinvoltura e si impegnano in qualità di guide ambientali: ne conoscono ogni anfratto, sanno di ogni angolo di terra, di ogni pietra e di ogni pianta. Ne conoscono i segreti e ne raccontano i misteri. Si muovono come fate, o come il grillo parlante di collodiana memoria, o come guitti di corte arruolati per l’occasione in una di quelle masserie che tuttora spuntano – come pozzi in un miraggio – nel panorama della Murgia. Un panorama in apparenza, solo in apparenza, desolato.
Questi racconti sono una guida singolare attraverso le pieghe più nascoste e più intime della Murgia. Ne testimoniano il valore attraverso frammenti e ne ricostruiscono l’identità come in un puzzle: ogni frammento è come una tessera di quel mosaico identitario. Ci sono anche frammenti di memoria personale legata a questa terra: frammenti d’infanzia o di gioventù, ricordi di giornate uniche, ripetibili eppure mai più ripetute. I singoli testi vanno ben oltre il valore letterario, pur obiettivo soprattutto in alcuni: sono fonte di conoscenza, stimolo alla ricerca; hanno valenza etica più che estetica e sono connessi tra loro dal comune pudore per la bellezza. Ogni racconto affronta un tema murgiano, testimonia un aspetto del territorio, ma tutti hanno in comune la delicatezza di approccio alla natura, alla sua sacralità. Tutti i racconti sono ispirati dalla passione e dalla fantasia creativa, talvolta ancorati a episodi reali, veramente accaduti durante l’esperienza turistico-ambientale in quello che ormai, finalmente, è il Parco Nazionale dell’Alta Murgia.

In questo parco, il gioco della finzione letteraria trova facilmente collocazione e sviluppo. Ciascun autore ha ambientato il proprio racconto nella situazione più congeniale alla propria percezione della Murgia e perciò si passa da scene di ilarità dettate dall’impaccio dei turisti a momenti e descrizioni di pura poesia perché pregni di incanto per la natura.
Questi racconti fanno innamorare della Murgia. Si impara ad amare le rocce e la vegetazione, gli animali e i colori, il suono del vento o il riverbero delle campane e anche la vista a distesa, fino al mare. Sono perciò frammenti di Bellezza, motivo di orgoglio del territorio, spicchi di genuino senso di appartenenza. Nei racconti si gode della luce bianca del giorno come del buio pesto della notte, che non fa paura perché abitato dalle stelle che qui sono inevitabilmente più luminose e scintillanti.
Bella, la Murgia! Altro che terra di pecore e per le pecore. E già questo, comunque, ne farebbe uno spazio baciato dalla vita, popolato da sogni e frequentato da desideri.

Bella, la Murgia! Terra ostica e gentile insieme, maltrattata e sottovalutata, arsa non dal sole ma dall’ingordigia, dallo snobismo e dall’ignoranza. Ma adesso la Murgia è una prateria ambiziosa. È addirittura un attrattore turistico, è uno spazio assoluto di Natura Madre, capace di disvelare in ogni stagione i segreti che nasconde agli occhi distratti dei visitatori.
Testimoniare in forma letteraria la propria esperienza di guida naturalistica si rivela infine un gioco riuscito ed efficace. Nessuno è scrittore perché lo fa per mestiere; tutti possiamo essere narratori, però, se abbiamo qualcosa da raccontare. In queste pagine, le guide ambientali manifestano capacità espositiva e ritmo letterario, sanno far appassionare perché sanno essere raccontatori di storie appassionanti. La lettura scorre veloce, incuriosita, talvolta divertita, talaltra affascinata. Sempre soddisfatta dal profumo della terra. E se capita di inciampare in questo viaggio immaginifico, non è più colpa dei sassi della Murgia, ma dell’evidente presuntuoso distacco di noialtri, più abituati ai colori dei semafori e al suono dei clacson che alla luce delle stelle e al sibilo del vento nelle orecchie.

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