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Adelfia, l'incubo Covid della cantante Rosemary Nicassio: «Salvata dalla mia voce»

 
Anna Larato

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Anna Larato

Adelfia, l'incubo Covid della cantante Rosemary Nicassio: «Salvata dalla mia voce»

Contagiata insieme alla famiglia, la giovane racconta la sua odissea

Domenica 06 Dicembre 2020, 13:15

Rosemary Nicassio, giovane cantante e attrice adelfiese, è stata colpita dal virus insieme al papà, di 63 anni, e alla mamma, di 54. Il 2020 è stato l’anno dei suoi splendidi 30: li ha compiuti il primo ottobre.
«Sono chiusa in casa praticamente da un mese, dal 10 novembre - racconta -. Ho sempre amato la mia casa, è stata il nido della mia intimità, dei miei successi, dei dolori e dei pomeriggi trascorsi a raccontarmi le storie che vorrei vivere. Questa casa bellissima che ha la forma di una quercia possente e annata - confessa - è divenuta spoglia ed esile, un albero senza profumo e senza frutti né colori né sapori. Ogni giorno, al risveglio, devo reinventare un modo per amare la mia casa».

In che senso? «Ho dovuto inventare un modo per raggiungere le persone della mia casa, un modo di far trapassare l’amore tra le mura, e il suono della voce era tutto quello che potevo. Il suono delle parole, quello che ho ricercato e studiato, quello che studio ancora, mi ha tenuto compagnia, mi ha permesso di sussurrare tra una stanza e l’altra “mamma, papà, teniamo duro per noi”».
I sintomi? «L’inizio della malattia è stato molto complicato. Sentire la tosse violenta, le voci dei medici e degli infermieri, le loro impressioni, i consigli, le cure. Ho stilato la lista dei medicinali che ognuno di noi avrebbe dovuto assumere ogni giorno e l’ho incollato sulla porta delle stanze in cui io, mia madre e mio padre eravamo rinchiusi. Stanze tutte diverse, ognuno di noi si muoveva nel suo spazio e quelli condivisi erano utilizzati in momenti diversi».

Una sorta di confino nel confino, insomma. «A turno, io e mamma abbiamo assistito mio padre, lui ha avuto necessità dell’ossigeno per lungo tempo. L’organizzazione della malattia nella malattia. È stata violenta e dolorosa. Ho perso tre chili in meno di due settimane, ho convissuto con occhi lucidi, mal di testa, dolori articolari, paura, mancanza, solitudine. Il Covid non è solo un virus, è una luce grandissima sulla miseria umana. Dà la consapevolezza dell’impotenza, un faticosissimo allenamento all’incertezza. Sapere di morire non è semplicemente morire, è convivere col pensiero della morte, sperimentarlo ogni giorno e sperare che almeno questa volta ti sorpassi, perché tu vuoi ancora cantare».
Infine: «Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno permesso a me e ai miei familiari di sentirci sollevati, che ci hanno assistiti anche nelle necessità quotidiane». Cioè il sindaco Cosola, la dottoressa Clemente, i dottori Bellomo e Cantacessi, tutti gli infermieri del 118, i medici Usca, la farmacia “Madonna della Stella”, le mie farmaciste del cuore Annetta e Francesca Gargano, Antonio Di Gilio e la sua squadra inarrestabile e Piero». La luce in fondo al tunnel adesso è ben visibile.

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