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Il personaggio
Valentino Sgaramella
26 Novembre 2020
Bisogna tenere conto del fuso orario quando si dialoga con lei. Rispetto a New York ci sono 6 ore di differenza per cui quando in Puglia comincia ad albeggiare alle 6, nella Grande Mela è ancora mezzanotte.
Tuttavia Angela Maria Savino, 36 anni, turese doc, è solerte e risponde pochissime ore dopo l’invio della prima mail. La Savino è una giovane scienziata che ormai vive a New York pur essendo nata e cresciuta a Turi.
Nel linguaggio tecnico dell’ufficio stampa di Washington Dd, lei è «research fellow» che significa ricercatrice. Lavora al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, uno dei centri più importanti degli Stati Uniti per lo studio e la cura del tumore. La giovane scienziata italiana, grazie ai suoi recenti studi sul metabolismo della leucemia, è tra i finalisti del Paola Campese Award for Research in Leukemia, il premio che il primo dicembre sarà assegnato da Issnaf, la fondazione che riunisce migliaia di scienziati e accademici italiani attivi in laboratori, università e centri di ricerca in Nord America. Con lei, un altro pugliese, di San Severo, in provincia di Foggia: Ferdinando Fioretto.
Angela Maria Savino si racconta. Frequenta la scuola elementare nell’Istituto comprensivo Resta-De Donato Giannini e poi la media a Turi. Quindi si iscrive al liceo linguistico «Laterza», a Putignano. «Al contrario di molti bambini, ho sempre amato andare a scuola, me lo ricordo come un periodo molto felice. Non essendo andata alla Materna, per me era la prima esperienza in cui interagivo con altri coetanei e facevo attività fuori casa con qualcuno che non fosse la mia famiglia e mia nonna (che adoro)».
Ricorda: «Sono stata fortunata ad avere maestri eccezionali quali Lidia Volpe, Rino Valerio e Alma Martinelli che mi hanno fatto amare sia le materie umanistiche che quelle scientifiche, anche se ad essere onesta l’italiano era tra tutte la mia preferita. I principi che ho imparato a scuola mi hanno insegnato a strutturare il pensiero in maniera logica».
Maturità a pieni voti. Si iscrive alla facoltà di Biotecnologie industriali a Bari e consegue la laurea triennale. Si trasferisce a Milano per conseguire la specialistica in Biotecnologie farmaco-genomiche. Subito dopo, viene assunta nella ditta Lofarma, sempre nel capoluogo lombardo, dove lavora per un anno e mezzo per sviluppare vaccini contro le allergie prima di iniziare il dottorato in Medicina traslazionale all’Università di Milano-Bicocca.
A quel punto, parte per un post-dottorato all’Università di Tel Aviv, in Israele, dove per tre anni e mezzo approfondisce le cause della metastasi della leucemia nel sistema nervoso centrale. Quindi, il trasferimento a New York al Memorial Sloan Kettering Cancer Center, centro di eccellenza per la cura del cancro.
Oggi è in lizza con pochissimi suoi colleghi sul tetto del mondo della ricerca. «Posso dire di aver scoperto che la presenza di fruttosio nel midollo osseo di ammalati di leucemia è più elevata rispetto ai soggetti sani. Non è ben chiaro - puntualizza la ricercatrice turese - se questo dipenda solo dalla dieta o da qualche modifica che il tumore crea all’ambiente circostante. Sicuramente la quantità di zuccheri cui è esposta la popolazione americana attraverso la dieta è notevolmente superiore a quella della popolazione europea, quindi questo fattore, in presenza della malattia, può sicuramente influire».
Che cosa accade, quindi? «Il nutriente primario per le cellule del tumore è il glucosio ma questo viene consumato molto velocemente da tali cellule che lo usano per duplicarsi e proliferare. In mancanza di glucosio le cellule si adattano a utilizzare il fruttosio che viene metabolizzato attivando una via di segnale che porta alla sintesi della serina, un aminoacido non essenziale che a sua volta contribuisce a sostenere la crescita delle cellule tumorali».
Quale il rimedio? «La nostra strategia è l’utilizzo di farmaci che colpiscono quella via di segnale. In questo modo speriamo di eradicare completamente la leucemia combinando la chemioterapia convenzionale e questa nuova terapia». Insomma, è la nuova frontiera. «La mia osservazione scientifica riguarda persone che hanno già la malattia (leucemia), ma in generale l’eccessivo consumo di zuccheri sarebbe da evitare, specialmente in questo periodo di pandemia in cui la “reclusione” casalinga e lo sconforto generalizzato potrebbero portare ad un incremento nel consumo di dolciumi e cibo spazzatura».
Se le si chiede il perché di tanti cervelli in fuga risponde: «Sono andata via per curiosità di provare un’esperienza nuova, non perché costretta dalla mancanza di opportunità. Quando sono andata all’estero ero anche in una fase preliminare della mia carriera dove sarebbe stato più facile trovare posizioni anche in Italia».
Sogna di ritornare in Italia? «Il rientro - confessa - sarebbe molto difficile se volessi rimanere nella ricerca perché il sistema universitario è saturo e purtroppo la realtà aziendale privata è ancora poco sviluppata».
Tanti i fotogrammi turesi: «Ricordo con gioia le gite nei campi di papaveri in Fiat 500 con mia zia Angelita, le gite in campagna con mio padre sul motorino, le capriole con mio fratello, i giochi in strada con le vicine di casa, quando ci si nascondeva per ore e ore prima che ci trovassero». Poi: «Le feste di compleanno, il Carnevale, quando mi mandavano al bar di Tuccino (gelataio storico di Turi) per prendere il gelato, le giornaliere visite ad Anselmo, padre di Cinzia e Arianna, il quale aveva una casa in campagna ricca di animali domestici».
A proposito degli States: «L’America è molto dura, può dare tanto così come ti toglie tutto in un battibaleno. Si passa dalla gloria massima a un livello “underground” in un attimo. Bisogna stare sempre in allerta e guardarsi le spalle. L’America ti dà alcuni mezzi per arrivare al successo ma non fa nulla affinché tu ci arrivi e nessuno fa sforzi per provare veramente a integrare le persone nuove. Di qui una frase che sento spesso ripetere “you are on your own” (letteralmente sei da solo/puoi contare solo su te stesso) che io trovo devastante».
Suo padre, Vito Savino, dipendente della ex Provincia in pensione, 66 anni, e la mamma Maria Pia Bellini, insegnante alla Primaria di Putignano, attendono con ansia il Natale per riabbracciarla. «Sin dalle elementari è stata molto brava, forse un po’ emotiva ma studiosissima - racconta il papà -. Si applicava tantissimo. Era meticolosa e precisa. Da quando si trasferì a Milano viviamo un doppio sentimento, la felicità per i suoi traguardi ma è come vivere un vuoto dentro perché è distante».
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