«Federico Fellini? Penso che sia il più grande artista italiano della seconda metà del ‘900 per la sua capacità di innovare profondamente le modalità del racconto».
Bisogna partire da questa affermazione di Oscar Iarussi, giornalista e critico cinematografico della «Gazzetta del Mezzogiorno» e selezionatore della Mostra di Venezia, per comprendere la valenza dell’incontro di stampo felliniano con la presentazione del suo libro Amarcord Fellini. L’alfabeto di Federico (il Mulino ed., 2020) che si terrà a Barletta oggi alle 19 all’interno del programma «D’Autore D’Estate 2020 – Il Cinema tra Sabbia e Stelle» della Multisala Paolillo al Lido «I Ribelli» in una serie di incontri culturali organizzati in collaborazione con l’associazione «I Presidi del Libro» e con il regista Daniele Cascella.
Iarussi dialogherà con il giornalista Costantino Foschini. Seguirà la proiezione gratuita del film Che strano chiamarsi Federico di Ettore Scola. Insomma una serata da non perdere durante la quale sarà possibile commemorare i cento anni dalla nascita del grande cineasta Federico Fellini.
Quando è avvenuto questo cambio di passo narrativo di cui diceva?
«Senz’altro con due grandi film come La dolce vita e 8 e mezzo che Fellini concepì nel pieno del boom economico, distaccandosi dal canone narrativo e tematico del Neorealismo da cui proveniva. In quei due film, due zibaldoni visionari, la modalità tradizionale del racconto si destruttura e approda al mosaico onirico. Fellini racconta come sogna, monta delle vicende che apparentemente sono slegate ma che è possibile ricondurre all’unità del sogno».
Con quali risultati?
«Tutto questo è formidabile e innovativo e si ripercuote su altre arti. Corrisponde alle trasformazioni delle arti figurative che dismettono lo statuto tradizionale della figurazione e vanno verso il concettuale o la Pop Art, ma soprattutto si imprimono sul versante letterario. Fellini e anche Antonioni, come presto riconosciuto dai principali critici letterari dell‘epoca, offrono uno slancio straordinario al racconto in quel periodo che era di grande espansione economica e non solo. Ed ecco l’altra straordinaria intuizione di Fellini: nel miracolo economico dei primi anni Sessanta coglie anche le parti in ombra, presagisce quel che non va».
Dove in particolare?
«Considererei la famosa scena del bagno della Ekberg e Mastroianni nella fontana di Trevi, che si imprime nella memoria di tutti e nell‘immaginario di tutto il mondo, come una sorta di fortunato equivoco perché in La dolce vita Fellini racconta anche di un suicidio, della crisi delle relazioni affettive e di tante altre cose. Si comporta come un cronista. Egli è un giornalista visionario, che coincide con la figura del protagonista del film, Marcello Mastroianni. Narra l’Italia che cambia».
Insomma un modello.
«Assolutamente sì, sebbene suo malgrado. Rimane un simbolo per moltissimi registi di tutto il mondo che hanno iniziato la loro attività ispirandosi a Fellini».
Perché ha scritto ancora di Federico Fellini?
«Questo è il terzo libro che dedico a Fellini. Quest‘ultimo in particolare non è un libro di storia del cinema, piuttosto cerco di raccontare l’Italia di ieri e di oggi attraverso la lente delle opere felliniane. Il registro narrativo che ho scelto corrisponde al modus operandi di Fellini e si può leggere “L’alfabeto di Federico” anche saltando di lettera in lettera. Vi si trovano analisi di scene celebri, richiami al nostro presente o veri e propri medaglioni dedicati a Marcello Mastroianni, Giulietta Masina e Nino Rotari. Del resto mi è stato fatto notare che nel libro ci sono 23 lettere e mezzo, con la mia premessa, il che corrisponde quasi magicamente al numero dei film di Fellini».
A chi si rivolge?
«A tutti. Il mio è un tentativo far conoscere Fellini anche ai più giovani, attraverso una sorta di abbecedario evidenziando in particolare lo spirito “non razionale” sempre presente nelle sue opere».
Zavoli è accanto a Fellini. Cosa significa per lei?
«Il fatto che Zavoli abbia deciso di riposare vicino a Federico nel cimitero di Rimini mi ha molto colpito. È un tentativo di andare oltre la morte di due personaggi che avevano con la Fede un rapporto molto particolare. Tra di loro vi era un legame affettuoso, molto forte. Si sentivano la mattina presto al telefono e non ho dubbi che tra le altre cose ricordavano i loro anni verdi trascorsi a Rimini. La scelta estrema di Zavoli è una fedeltà alla gioventù, all’amicizia e ai luoghi che trovo commovente».