Tutto è morte in Siria. La guerra ha ingoiato le donne e gli uomini, le città, il paesaggio, la storia, la voglia di futuro. Il filo della speranza ha il volto dei volontari di InterSos, l’organizzazione umanitaria italiana che da anni porta assistenza e aiuto alle vittime di guerre, violenze, disastri naturali ed esclusione estrema. Matteo Leveghi coordina i progetti InterSos in Siria.
Matteo, dov’era all’alba di lunedì? Ha sentito la scossa?
«Al momento della prima scossa mi trovavo a Damasco. Siamo tutti stati svegliati dalla scossa e, una volta visto dove fosse l’epicentro, ci siamo subito messi in contatto con i nostri colleghi che si trovano in alcune delle zone maggiormente colpite».
Com’è la situazione in Siria?
«A Damasco è piuttosto tranquilla al momento. Le zone che sono state maggiormente colpite dalle conseguenze del terremoto sono i governatorati di Hama, Idleb, Aleppo e Lattakia e Tartous. InterSos lavora ad Hama e Idleb. A partire dalle prime ore di lunedì abbiamo subito cominciato a raccogliere informazioni sull’accaduto e coordinarci con i nostri partner locali per definire come rispondere al disastro. Queste prime ore sono quelle più confuse, ma anche le più importanti per avere una risposta rapida ed efficace».
Qual è stata la vostra risposta?
«InterSos ha immediatamente dispiegato le sue unità mediche mobili ad Hama e Idleb per raggiungere territori fortemente colpiti dal terremoto, mettendoci in contatto con la Mezzaluna Araba Siriana per fornire farmaci e beni sanitari di prima necessità. In parallelo, ci stiamo preparando per fornire servizi di supporto psicologico a persone che sono state sfollate e hanno trovato rifugio temporaneo in centri ad Hama».
In Siria il terremoto peggiora una situazione già fragilissima.
«Già. A dodici anni dallo scoppio del conflitto, la complessità e la gravità dei bisogni ha raggiunto il suo apice. Su 22 milioni che vivono in Siria, oltre 15 milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria. Per la prima volta dal 2011, non vi è un singolo sottodistretto nel paese dove non vi siano bisogni umanitari urgenti. Questo è il frutto del protrarsi dei combattimenti in alcune parti del paese, continui movimenti di sfollati, violenza diffusa, e una situazione economica che continua a deteriorare».
La povertà ha divorato anche zone un tempo ricchissime.
«Basta pensare che oltre il 77% della popolazione ha un reddito che non è sufficiente per coprire il costo dei beni primari, mentre scarseggiano accesso a acqua pulita, elettricità e carburante, il che crea enormi problemi specie durante un inverno particolarmente freddo come questo. A questo quadro drammatico, si è aggiunta pure un’epidemia di colera a partire da settembre».
Come state gestendo tutto questo?
«Malgrado i bisogni crescenti, i fondi a disposizione per fornire servizi umanitari nel paese si stanno assottigliando: lo scorso anno, sono stati raccolti solo il 40% dei fondi necessari».
Dodici anni di conflitto: come avete aiutato i siriani in questi anni?
«InterSos è presente in Siria dal 2019. Forniamo servizi di protezione umanitaria, salute, educazione e supporto alle fonti di reddito. Lavoriamo in tre governatorati, Hama, Idleb e Rural Damascus, fornendo assistenza umanitaria a sfollati, comunità ospitante e persone che sono da poco tornate nel loro territorio di origine, concentrandoci sulle fasce più deboli e vulnerabili della popolazione».