MATERA - È un mestiere a metà strada tra la ristorazione e l’arte. Si preparano dolci bontà che oltre a soddisfare il gusto non mancano neppure di deliziare la vista. Ma quello del pasticciere non pare avere tanto appeal tra le giovani generazioni. E i maestri dell’arte del dolce, buono e bello stentano, e non poco a trovare, loro possibili successori o, se non si pensa a un domani in si possa continuarne l’attività, quanto meno lavoratori che si adoperano nell’essere d’aiuto in veste di manodopera specializzata.
Un bel mestiere certo, che dà tante soddisfazioni ma richiede una dosa di sacrifici che in tanti non comprendono come opportuni, e inevitabili, per poteri affermare lavorativamente parlando e non solo.
«Faccio davvero tanta fatica a cercare manodopera. C’è una carenza impressionante ma, ad ogni modo, è soprattutto qualitativamente parlando che è difficile trovare chi formare», afferma Giuseppe Chico, giovane ma affermato pasticciere materano. È componente, inoltre, della Direzione provinciale della Cna, operando nell’organizzazione di categoria nell’ambito del suo settore. Con lui, dal suo osservatorio privilegiato, corroborato dalla esperienza personale, facciamo un po’ il quadro della situazione nel suo settore a livello locale.
«Fossi soltanto io a riscontare le difficoltà nella ricerca di manodopera, la cosa è chiaro che non farebbe testo – continua Chico –. Dal confronto con gli altri colleghi, emerge una situazione analoga. Cambiano i soggetti dei vari racconti, ma la sostanza è sempre la stessa».
A nessuno più o quasi interessa seguire le vostre orme?
«Quando si riesce a trovare quei pochi che si possono tenere in considerazione, è chiaro che poi occorre che vengano formati. Fin qui la cosa è nella norma. Ciò che non va bene e che cammin facendo emergono attitudini e qualità nell’approccio al lavoro che non sono tali da far pensare che ci possano essere sviluppi. C’è chi pensa soltanto a quanto deve finire loro in tasca a fine mese. E basta. Come se l’impegno per guadagnarsi lo stipendio sia un qualcosa di secondario. È davvero doloroso vedere che ci siano giovani che pare non abbiano alcun obiettivo, non si pongano in termini di voler crescere in tutti i sensi, di imparare un lavoro. È assurdo che persone giovani non mostrino quello spirito di iniziativa che è la parte più importante nell’intraprendere un lavoro per costruirci sopra il proprio futuro».
E così Chico evidenzia ancora come dal confronto con gli altri operatori del suo settore, la costante per tutti è l’ammettere di dover vedere «cambiare continuamente i ragazzi che si approcciano alla pasticceria come opportunità di lavoro. Ma il sogno di poterli far crescere il più delle volte finisce in quanto durano il tempo che non ti permette neppure di pensaredi fare, non dico completare, un discorso serio di formazione».
La sua esperienza personale è quella di studente dell’Istituto Alberghiero che poi ha intrapreso una strada in un certo senso voluta e già segnata: la sua famiglia gestiva un bar-pasticceria, dove è cresciuto, apprendendo i primi rudimenti, coltivando la passione. Poi, tanta gavetta, con un rinomato maestro della pasticceria, fino ad arrivare al punto di mettersi in proprio, dare modo al suo estro nel catturare per la gola i suoi clienti.
Ma che rapporti ha con il mondo della scuola? Possibile che non ci siano giovani da segnalare e mandare a bottega?
«I rapporti e i contatti ci sono, eccome, e sono costanti. Si fa però fatica a trovare ragazzi di livello. Nel senso che quelli davvero bravi vanno altrove, in altre città e località dove di sicuro possono mettersi in evidenza».
E per chi resta, cosa potete offrire voi pasticcieri «di casa»?
«Poiché il nostro è un settore molto tecnico, a prescindere dalla creatività, per come lo concepisco personalmente, ho di sicuro bisogno di gente che abbia, lo evidenzi ancora, davvero voglia di imparare o di fare. Non abbiamo bisogno di chi prende tutto anche sotto gamba pensando solo alla remunerazione. Intanto il tirocianio, pagato, è chiaramente un modo perché chi ne ha voglia possa davvero rimboccarsi le maniche e iniziare a imparare a fare questo mestiere. Sì, è tutto vero che i sacrifici ne richiedere tantissimi, ma penso sia una costante anche per altre professioni. Il sacrificio può essere un valore come è anche altrettanto vero che le soddisfazioni ci sono e arrivano, e possono anche essere davvero grandi. È chiaro che poi, dimostrando le proprie capacità, di pari passo lo stipendio non può che salire, in proporzione. Personalmente io offro un vero ingaggio, ed è un lavoro che se fatto per bene è redditizio. Io voglio pagare il giusto ma richiedo la competenza, che si abbia davvero voglia di imparare o fare».
Oltre il mondo della scuola alberghiera, ha interpellato anche agenzia di ricerca del personale? Ha pensato anche a una eventualità che coinvolga stranieri?
«Ho avuto alcune esperienze con le agenzie, che hanno proposto dei candidati, ma poi era chiaro che non erano davvero interessati a intraprendere questo percorso. C’è poi anche un fenomeno che vede professionisti o comunque gente che questo lavoro lo conosce e lo sa fare che “girano” tra i vari laboratori di pasticceria. Sono un po’ come i calciatori, e basano il loro lavoro e la permanenza in base all’ingaggio, per cui se trovano chi offre loro anche un po’ di più vanno via, ovviamente. Per quanto riguarda l’aspetto stranieri, debbo dire che non c’è stata alcuna occasione a riguardo. Ma non voglio arrivare al punto di dovermi rivolgere agli stranieri, per carità, con tutto il rispetto per loro: vorrebbe dire che in giro davvero non c’è voglia di lavorare? Senza nessuna polemica, ora che è stato tolto il reddito di cittadinanza, c’è chi si sta affacciando nel mio laboratorio. Ma per ora non si è andati oltre la curiosità».