MATERA - Vico Piave: l’11 gennaio 2014 crollano due palazzine e sotto le macerie viene estratta senza vita la giovane Antonella Favale. Il 26 marzo dello stesso anno spirerà in ospedale anche Vito Nicola Oreste per i gravi traumi riportati a causa del cedimento strutturale. Via Beccaria: il 31 luglio 2023 poco dopo le 13 crolla un fabbricato in costruzione e si sfiora la tragedia.
Gli operai dell’impresa edile erano in pausa pranzo ed alcuni passanti rimangano miracolosamente illesi. In mezzo a questi due episodi anche l’ordinanza di sgombero il 4 novembre 2022 di una palazzina in via Don Luigi Sturzo ai civici 57 e 59 dove erano stati rilevati problemi strutturali. Le 12 famiglie dopo le verifiche statiche rientrano nelle abitazioni dopo 6 mesi. Mentre nelle aree di espansione si è assistiti ad una cementificazione galoppante, spesso avallata da varianti urbanistiche con una impennata sul costo degli alloggi, nel perimetro del centro urbano, anche sull’onda di Matera 2019, gli interventi di ristrutturazione dei vecchi immobili con cambio di destinazione d’uso sono cresciuti in modo esponenziale.
Cosa succede a Matera, città che ha fatto dell’urbanizzazione rupestre l’emblema della sua forza e della sua identità?
L’altra città, quella edificata a cavallo degli anni del Dopoguerra e che fa riferimento ad alcune zone che gravitano immediatamente a ridosso della cinta esterna del centro storico o comunque nella parte del Piano, si riscopre di colpo vulnerabile. Interventi a volte a dir poco discutibili, ne hanno alterato le già precarie caratteristiche strutturali.
«In città - dichiara Sante Lomurno, ingegnere, già dirigente del Settore Opere Pubbliche del Comune di Matera ed ex assessore ai Lavori Pubblici - ci sono costruzioni a dir poco vecchie il cui primo livello risale ai primi decenni del secolo scorso. Faccio riferimento in particolare ai lamioni, costruzioni in tufo successivamente sopraelevate in più di una occasione. Alla lunga le murature non reggono gli ulteriori e maggiori carichi. Alcune costruzioni, e questo è un altro aspetto singolare, presentano almeno tre o quattro piani oltre l’originario piano terra, senza parare delle trasformazioni conseguenti all’introduzione di nuovi impianti tecnologici. Situazioni di questo tipo sono riscontrabili a Piccianello, ai Cappuccini e nella stessa area oggetto del crollo nei giorni scorsi». Perché allora insistere a voler preservare edifici con una tipologia costruttiva simile?
«Alcuni volumi edilizi - prosegue l’ing. Lomurno - non hanno valenza né dal punto di vista storico né architettonico. In molti casi meglio sarebbe stato procedere alla demolizione delle strutture e ricostruire. Il Piano Casa ha consentito la sostituzione edilizia degli edifici malandati nelle aree esterne ai centri storici ma, ritornando alla questione di prima, non occorrerebbe soffermarsi sull’aspetto della demolizione e ricostruzione, con o senza premialità. Piuttosto che di riqualificazione edilizia, è il caso ad esempio del Rione Piccianello. si dovrebbe parlare di riqualificazione urbanistica, procedendo ad una revisione complessiva per comparti. Ma è necessario un forte coordinamento territoriale tra le istituzioni e gli ordini professionali. Uno strumento attuativo potrebbe essere il Piano Particolareggiato che riveda il tessuto urbano. Elementi sui quali, in sede di redazione del Prg, si era soffermato l’urbanista Gianluigi Nigro. Si tratta di interventi complessi - conclude l’ing. Lomurno - che richiedono una struttura tecnica adeguata e diversi anni».